lunedì 10 dicembre 2012

adotta un partitello

è successo e non è una gran sorpresa: il governo è caduto e la legge elettorale non si è fatta. è caduto a causa del pdl e non perché il partito di berlusconi non condividesse le scelte infelici e draconiane di monti, ma solo per permettere a mister b di non andare in carcere in conseguenza del rubygate, potendosi avvalere dell'immunità parlamentare. io sono molto, ma molto irritata per il fatto di dover votare col porcellum, perché avrei voluto far piazza pulita di molti di loro, ma non sarà possibile, perché saranno loro, il gotha dei partiti stessi, a decidere chi sarà eletto e dove. noi non possiamo dare preferenze e scegliere chi premiare e chi punire. peer me, c'è una sola soluzione. disperdere il voto. il voto utile, questa volta, non è concentrarsi su pd e pdl, ma è votate partiti partitelli e partitucoli. si creerà, è vero, un governo probabilmente instabile, ma certamente si lancerà un messaggio ai due grandi. hey noi non vi crediamo. l'astensione non è una soluzione: a loro basta vincere, fosse anche con il 2 percento dei votanti. fate come me, scegliete un partitello (SEL, rifondazione, verdi, comunisti italiani, 5stelle, idv, consumatori uniti, per il bene comune, sinistra critica, no euro, partito pensionati, msi, movimento idea sociale, la destra, moderati per il piemonte, südtiroler volkspartei, lega d'azione meridionale..) e votatelo. PS sabato si vota alle primarie regionali lombarde del centrosinistra. io voto andrea di stefano.

mercoledì 24 ottobre 2012

choosy o affamati?

Quel che mi ha schifato dell'uscita choosy del ministro fornero non è il suo dire che i giovani non accettano qualsiasi lavoro. al di là del fatto che non credo sia vero, ma in ogni caso se una persona si prende una laurea specialistica, fa stage gratuiti per migliorarsi, prende magari anche un dottorato, non ha molto senso che, arrivato ai 28 anni, magari 30, vada a fare l'imbianchino. è giusto che cerchi di realizzare il suo disegno di vita. ma al di là di queste ovvie considerazione, ciò che più mi scandalizza è che fornero con questa uscita ha appositamente spostato l'obiettivo e distolto l'attenzione dalla materia che importa. chi non è choosy e non vuole fare qualunque lavoro non lo fa perché pulire gli uffici o lavare i piatti è un lavoro umile, ma in quanto è un lavoro sottopagato,. nessuno di noi, che sia plurilaureato o che abbia la terza media, vuole (o può permettersi) di fare un lavoro da 5'00 euro al mese. allora fornero facesse il ministro, invece di mettersi a farci la morale, e imponesse il salario minimo garantito. io non ho problemi a lavare i pavimenti (anche perché a 37 anni, di cui 15 passati a fare la giornalista, l'alternativa è: o continuo a scrivere, o pulisco i cessi, dato che non ho skills per fare altri lavori più specializzati), ma ho problemi, alla mia età e vivendo sola (per fortuna non ho figli da crescere), a lavorare per 500 euro al mese. e fornero sa che la vera questione non è neanche più la qualità del lavoro, il diritto, perché è un diritto costituzionale, fa fare un lavoro che ci appaghi e ci piaccia, ma il fatto di poter sopravvivere.

lunedì 15 ottobre 2012

Se siete sovraccariche, è colpa vostra

Federico Rampini su D di questa settimana sostiene chele donne hanno "da una parte il carico di incombenze professionali, esigenze di mariti, badare alla casa, accudire figli e genitori anziani. Mi fa ridere. Perché questo sovraccarico non è di tutti, non è anche degli uomini? Gli uomini non hanno figli, lavori, case e genitori? Mi si dirà che faccio la finta tonta de non voglio vedere che la realtà è che gli uomini non accudiscono genitori e figli, non fanno le faccende domestiche. Allora io rispondo: e chi si accompagna a uomini che vi scaricano tutto sulle spalle? Voi. E quindi ve lo meriterete pure, di essere cariche di incombenze, perché ve le siete prese. Ieri ero a casa del mio amico Teo. ha una moglie e una bambina di tre anni. Il pranzo lo ha cucinato sua moglie, mentre lui mi intratteneva e badava alla figlia. Hanno rigovernato assieme. Poi lui ha preparato la cena alla bambina. Lei è un medico, lui un intellettuale. Lei ha scelto un uomo che sapesse che la casa è di entrambi, e che i figli si fanno in due. E' stressante per tutti pensare alla casa (necessario, per non vivere in un porcile) e al lavoro (per mangiare e magari realizzarsi) e stare accanto ai figli (li hai fatti, vorrai goderteli), ma deve essere uno stress per tutti, al di là del gender. E mi scandalizza che ancora si stia qui a dire che le donne hanno più peso degli uomini. Al di là ragazze che non ve l'ha prescritto il medico di riprodurvi. Io non l'ho fatto e per ora la salute mi conserva, ma gli uomini moderni non sono così. Aiutano in casa. Certo, magari le donne non dovrebbero dare per scontato che loro fanno tutti, perché chiunque, vedendo che l'altro si occupa di tutte le incombenze, si impigriscono. Penso solo che se iniziassimo a dare per scontato che gli impegni familiari e domestici sono di tutti, magari si dovrà smettere di ricordarselo e le donne la pianteranno di voler fare le perfette casalinghe e le donne in carriera accompagnandosi da uomini che non hanno le loro stesse necessità.

lunedì 1 ottobre 2012

Crampi da nuoto

Quando il mio professore di lettere all'università mi ha detto che il mio amico che gli faceva da assistente ha mollato, che "si e arreso", mi ha motivato a continuare, a non smettere, a continuare a credere in me. Lasciare i propri sogni, rinunciare alle proprie aspettative è farsi sconfiggere, arrendersi. a volte ci si deve arrendere, decidere - prender atto - che non ce la fai più, come quando dopo troppo che nuoti al largo smetti di far andare le braccia e vai giù. E' poco dignitoso per quanto necessario andare giàù, allora. Ho pensato che più responsabilità hai più è facile che tu ti arrenda. Perché più hai legami più sei ricattabile. Il mio amico ha moglie casa e figlia. Che, se da una parte sono una struttura, una sicurezza, sono anche un vincolo, un obbligo, un peso. Un ostacolo ai tuoi sogni. Se puoi fare il ricercatore a 500 euro al mese quando sei solo, o meglio ancora quando stai con mamma e papà, non puoi farlo se hai una famiglia che conta su di te. Anche se a quarant'anni vivere a 500 euro al mese è poco dignitoso e solo in paesi crudeli come questo capita ancora. Io sono qui da sola, e allora almeno mettiamolo a frutto e cerchiamo di combattere, di stare a galla almeno sino a che i crampi non si fanno insopportabili.

martedì 21 agosto 2012

L'orrore di certe coppie

Non è che queste tre coppie con cui sto seduta mi facciano orrore prettamente perché sono così cliche, con i loro ruoli falsi sotto l'ascella come libri di matematica il giorno dell'esame di terza media, con lui che dice a lei: Ora continua tu il racconto e lei che gli si avvinghia alla mano non sia mai che lui di allontani di qualche metro. Non è quello. Non è neppure per i loro difetti, quella prepotente, quella possessiva, quella piena di sé. E' come ostentano i loro difetti, infliggendoli ai loro fidanzati davanti a tutti i loro (dei fidanzati, le femmine giovani non hanno amici, per antonomasia), senza nemmeno considerare che noi, il pubblico, potremmo giudicare, contare e dividere, ma, avendo inciabattato i loro uomini, non sono abituate ad essere contraddette e sono giunte a pensare che tutto è loro legittimato, e neppure sospettano che trattare un trentenne come un bambino ritardato di fronte agli amici forse non sta proprio bene e forse non è proprio da fare. Alla fine, i difetti diventano belli. Alla fine, ho sempre pensato che scegliamo i nostri amori per i loro difetti più che per i loro pregi: è una vita che sono rapita dai peggiori narcisisti e ben lo so. No, non è il distacco dalla realtà che la coppia rappresenta. No. È il cliché che rappresentano. Il fatto che a trent'anni sono la coppia che saranno a settanta. I riti, le zone d'ombra, i momenti d'aria. Le cose che ora non sanno, l'uno dell'altra, non le sapranno mai. Quelle aree scure che hanno deciso di lasciare inesplorate e non tanto per rispetto dell'intimità altrui, quanto per pigrizia, per non dovere prendere atto dell'esistenza e agire di conseguenza, controdedurre, capire, indagare. Dico a Pucci che io e lui siamo più fidanzati di tutti i fidanzati presenti e lui - dopo averci pensato un attimo - è concorde. Siamo più fidanzati di loro perché ci siamo indagati e conosciuti di più e siamo stati più sinceri. Lo vedi, a questo tavolo di coppie noiose, come serpeggia la finzione, l'impersonare spesso pure goffamente un ruolo. Giocare a scimmiottare i grandi. Fare quelli che hanno esperimentato una notte da soli a dormire a casa, fare quelli che lei ha cucinato le crèpes, che lui ha tagliato la legna con l'ascia. Come si fa quando è le prime volte che succede e te ne compiaci, e ancora non sai che che fa tanto principiante rivelare questi segreti. Fare quelli che si faceva da bambini quando si giocava alla mamma. Tutti composti e imbacchettati al tavolo del bar del parco di Brescia a recitare ruoli che per educazione e convenzione tutti fanno finta di non vedere che sono – appunto – recitati. Una tristezza assoluta. Il cliché. Lo stare ficcato in un ruolo per non creare ansie a nessuno. Tu fai la brava moglie, tu fai il bravo marito, tu fai la donnina spaventata dal topo che passa a tre metri di distanza sul cornicione, tu fai l'impavido che la proteggerà. Stare in una convenzione mi angoscia. È per questo che scatto come una tagliola quando mi si tratta come se io non avessi una vita. Il terrore, folle, di diventare un cliché staccato dal mondo.

lunedì 13 agosto 2012

Pace

ascoltare i muse dopo aver letto una comunicazione da parte di un amico e capire, ritornando a casa seguendo la torre nord, che è la pace che mi manca e che mi è sempre mancata. già certo, un lavoro, la pazienza, un fidanzato premuroso, una casa di proprietà, una cena nello stomaco, una narice funzionante, alcuni amici persi per strada, una silhiuete perfetta, ma forse a farmi così cattiva e a riempirmi di qualcosa che frizza tutto il tempo è la pace che manca. non lo so perché. guardo indietro nei miei giorni e frugo tra i pochi ricordi che conservo dei tempi che davvero contano e non lo so,. forse semplicemente ci sono persone così. forse, semplicemente, non ci sono persone in pace, se non per alcune ore. e ciò che io prendo a giustificazione dei miei comportamenti non è nulla. ma ora davvero, ora vorrei tanto un po' di pace. da averne che esce dalle tasche, per distribuirla un po' in giro, a chi amo e ne ha bisogno, uomini con pistole, mariti, guerrieri jedi, amiche bionde. come se avessi un sacchetto con pane e pesce.

lunedì 6 agosto 2012

Tempo che cola

i pomeriggi estivi da scuola media tra compilare i blog, leggere libri e giornali, gironzolare in bicicletta e pensare a cosa cucinerò per cena. silenzio, televisione, notti fresche passate a guardare il cielo, vuoto, tempo che cola.

lunedì 16 luglio 2012

Trovare implica che sto cercando

Chi è in coppia di norma non si accorge di quanto sta male. Certe idiosincrasie, certe sofferenze, passano del tutto inosservate, come se il prezzo da pagare per poter dividere i costi delle bollette fosse una ragione necessaria e sufficiente a sopportare le peggio cose. Di recente mi confronto con un amico, la cui fidanzata di dieci anni più grande, insomma, una donna più che fatta, lo ha piantato perché era infelice per via del lavoro, per poi riprenderselo una manciata di giorni dopo. Per me, una donna di questo genere dimostra totale indifferenza nei confronti del suo compagno. Non gli risparmia una sofferenza piantandolo per capriccio, senza ragionare e senza dare la necessaria importanza a una scelta che necessariamente farà soffrire la persona che ella dice di amare. Io non lascerei mai per due o tre giorni il fidanzato solo perché così mi è girato il culo. Non tradirei la fiducia e le speranza della persona che dico di amare per capriccio o per paura o per noia, né tantomeno tornerei a riprendermela come se nulla fosse tre giorni dopo. E’ già dura far capire al mio amico che una persona che ci fa questo non ci rispetta. Accusare di non rispetto il fidanzato o la fidanzata è già cosa che in società non si fa, come se a una, per il fatto che ci prepara la cena ogni sera, fosse consesso fare il bello e il cattivo tempo come se nulla fosse. Siamo sempre implacabili con il nostro partner, previo però concedergli mille scuse e alibi quando ci fa davvero male. Soprattutto se lo fa per capriccio. Dopo che l’ho convinto della mia opinione, ci guardiamo e mi dice: che faccio? Come che fai? Se sei saggio lasci la persona. Che te ne fai mai di una compagna che non si preoccupa di te? Lui dice che il rapporto di coppia è bello quando c’è complicità - condivisione - comprensione e stima. Io dico che quindi mai Lui dice che faccio la disillusa perché non ho trovato ciò che cerco ed è qui che si finisce nel cul de sac in cui finisco sempre quando faccio di questi discorsi e nonostante ciò, idiota!, li faccio sempre. Il fatto che io preferisca non innamorarmi non è compreso da qualsivoglia interlocutore. Anche a me, sono umana, capita l’innamoramento con conseguente rincoglionimento che porta ad accettare qualsiasi cosa. Aka qualsiasi sopruso. Perdere il controllo della tua vita del tuo tempo delle tue abitudini ed aprire la porta a centinaia di problemi. No, non è vero che in due si hanno meno problemi. Se ne hanno sfacciatamente di più, perché la coppia, in mancanza di altro, se li crea. Io, stando da sola, devo pensare ad arrivare a fine mese, a fare il modello Unico, cucinare e lavare, occuparmi della salute schifosina e della paura del futuro. Tutte cose che in coppia dovrei affrontare lo stesso, che che un fidanzato non me li renderebbe più leggeri, perché diciamocelo alla fine ognuno i suoi problemi se li deve risolvere da sé. Parlarne con il fidanzato (e guarda, garantisco che parlarne con l’amica sortisce lo stesso effetto, non è che un fidanzato lava più bianco: è uguale) non è meglio. Non è illuminante e non è risolutivo. In più, fidanzata, avrei da sorbettarmi anche i problemi della controparte, anzi, dovrei ascoltarli, perché come si diceva ognuno i problemi se li risolve da sé e io non sarei diversa, mica ho scritto Madre Teresa in fronte, però dovrei ascoltarlo. BLABLABLA. E poi, colpo di grazia, avrei i problemi che lui direttamente e indirettamente mi crea. Che so. Lui ha mal di pancia e scogliona perché ha mal di plancia, invece che eroicamente, come faceva da single, mettersi in un angolo e soffrire in silenzio. Dico io, se da solo te lo ciucciavi eroicamente, il mal di pancia, perché ora che stai con me sei una capra belante? Oppure, lui è convinto che io non lo ami più e mi sfava perché si è fissato che non lo amo più, dubbio ragionevole, visto quanto mi stai rompendo i coglioni per una cosa inesistente. O ancora, lui vuole che domenica andiamo a pranzo da mammetta sua e io voglio dormire. Sono posta di fronte a una discussione e a una alternativa che, se lui non esistesse, non esisterebbe similmente. Inoltre, amico caro, la frase “non hai trovato l’amore” è offensiva perché presuppone io lo stia cercando. Invece – ta daaan – sorpresa. Non puoi trovare una cosa che non cerchi. E non cerchi una cosa che non ti interessa. L’amico dice: si sta meglio quando si sta bene e peggio quando si sta male e sento i miei coglioni staccarsi e rimbalzare per la stanza. Non potremo mai vincere contro chi pensa che da soli non si può stare bene mai e in coppia si può star bene spesso. Al di là che in coppia non si sta bene quasi mai. E io ce l’avrò anche avuto l’amore perfetto, ma essendosene lui andato ed essendo padre di un figlio che non è mio, deduco che la cosa non era ricambiata e quindi non valeva. Da soli si sta bene. Se sei serena e tranquilla, divertente e interessante, lo sei che tu abbia o non abbia una palla al piede. Se io sono rilassata e felice e divertente e dinamica lo sono anche senza uno scorreggione nel letto. Anzi, oserei dire che lo sono di più. Se sono infelice musona depressa e impaurita, non è che con una palla al piede non lo sono più. Lo sarò ancora e in più rovinerò la festa alla suddetta palla. Non comprendo come voi umani non possiate capirlo. Lo ripeto, non sono contro il rapporto di coppia a 360 gradi. Dico solo che per me è destabilizzante. Che finisce sempre male. Che alla fine ti scontri sempre con l’egoismo dell’altro. Che invece di stare sereno hai sempre paura. E che quindi insomma non ne vale la candela e stare sola (che non significa senza amici. A volte ho il dubbio che voi vi dobbiate fidanzare e sposare perché avete perso tutti gli amici e, mancando chi sceglie di stare con voi, risolvete di pagare qualcun o perché lo faccia) e decidere da me quando mi alzo che mangio dove vado e con chi. Io menate in prima persona su quanto la persona che ho accanto mi fa soffrire, mi tradisce, mi ignora, non mi soddisfa, blablabla non ne ho e non obbligo nessuno a sorbirsele. E voi, che non fate altro che piagnucolare e piagarmi con le vostre sciocchezze (che non avreste se foste soli) avete intenzione di continuare ancora a lungo a sostenere di stare meglio di me??

venerdì 13 luglio 2012

odiando i milanesi finticolti e guardando il sosia di carmelo bene

Ho smesso di ridere della gente che fa le pernacchie quando andavo nei mezzani alla scuola materna. Per questo non solo mi sfugge il significato, ma mi irrita, pure, quando tutto il teatro Parenti si spetascia per almeno cinque minuti nel vedere una tizia in abiti farsescamente seicenteschi che simula un attacco di scoregge. Non pensavo che recarmi a vedere “Amleto. Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche.” di e con Filippo Timi sarebbe equivalso a visionare uno spettacolo di Bombolo. E tra l’altro regista e attori sembrano saperlo bene, che ci stanno propinando Bombolo, e ridono di noi. Perché alla fine miei cari milanesi bene che a luglio andate al Parenti – badate bene non a teatro, a un teatro piccino come il Leonardo o il Teatro I o L’Officina, ma IL PARENTI, tutto stampato con le lettere cicciotte, come L’ELFO PUCCINI o IL PICCOLO, per dire – voi volete le scoregge di Bombolo. E ridete a crepapelle quando Timi dice BANANA (anche qui, lette tutte alte). Vi fa scompisciare che lo stesso sketch sia ripetuto alla nausea, come quando Luca Pignagnoli dal proscenio chiama Timi. “Principe!”, fa. Ma Amleto non vuole parlargli e dice di star dormendo. Questi si ostina “Principe!”, fa. E Timi fa una faccia, come a dire, “non sono io”. Ed è buffo, e naturale. Si ride. Ma la scena fa rewind per circa quindici volte. Per quindici, venti volte “Principe!” e faccia distaccata di Timi. Quindici, venti volte. E voi ridete a crepapelle. Ma signori, sono cose che fan ridere i bambini duenni quando fate loro le facce nascondendovi dietro le mani. Perché “Amleto” non è brutto. Costumi e scenografia sono spettacolari, opulenti, non ci si stanca di guardarli. La prima scena di Timi è un quadro fiammingo, con lui – identico a Carmelo Bene - sul trono vestito da matrona, una versione infiocchettata e nera dell’abito di regina Elisabetta I con una donna a seno nudo riversa in grembo, che sembra così piccina e fragile e un uomo, come nelle stampe di fauni, a profilargli la seduta. “Amleto” lavora per lo più di dissociazione. Come nella tragedia originale (ma quanti di voi, milanesi ridanciani, l’ha colto? Quanti, piuttosto, hanno mai letto “Amleto”?) i richiami metateatrali sono numerosi, ancor di più si rincorrono e Timi non smette mai di ricordare che lui è Timi (balbetta anche un pezzo di monologo) e che è un quarantenne cresciuto a Puffi e Intillimani. Ci porta Vicky il robot, i puffi, Pinocchio (che parla fiorentino), le palle strobo da discoteca, “Dirty Dancing” (“nessuno mette BAMBI in un angolo”) e gli Intillimani. Gli attori sono magnetici. Timi non solo è sexy e bellissimo, ma anche le attrici, in particolare Mascino e Rocco sono magnetiche e riescono anche a rubargli la scena. Cosa che lui si lascia fare, e se ne scompiscia e improvvisa. Ma poi una battuta riesce e allora la si ripete sino al parossismo, senza però arrivare all’obiettivo di svuotarla di senso , perché il pubblico invece sghignazza e continua ad apprezzare, e ne vuole sempre più; intanto la tecnica diventa talmente prevedibile da irritare. Che quando Geltrude dirà ad Amleto di andarsene gli farà quella faccia lì, che le viene così bene che.. perché non rifarla? Perché non farla di nuovo? Perché non farla ancora..? E voi, milanesi, a sghignazzare. Voi non distinguete le parti inventate di sana pianta da quelle della tragedia vera, quando Amleto insulta Ofelia o parla dei maiali che scopano e del culo di Geltrude, fate “oooh” scandalizzati senza sapere che queste sono cose di Shakespeare. Quando Amleto dice che “la vita è una canzonetta stupida” non riconoscete la trasposizione. Quando dice ”ecco il monologo di Ofelia, di nuovo!”, voi non capite. Forse neanche la battuta “Adesso ammazza Polonio dietro l’arazzo” vi è chiara. Poi ci sono siparietti che non c’entrano, che vogliono caricarsi di simbolismo ma che sembrano solo piantati per dare alle due attrici più brave la possibilità di un solo che nulla c’entra. Con Marina Rocco che rifà forse la Monroe e parla delle difficoltà di trovare parcheggio e Lucia Mascino praticamente nuda che dice che volveva fare la scienziata. Bravissime, carismatiche, ma quindi? E ancor più assurdo è, infine, quando il registro farsesco viene abbandonato e quella favola raccontata da un idiota che è lo spettacolo diventa seria. Succede due volte. La prima è all’inizio, a sipario giù, mentre Timi fa uno scombinato monologo sull’odio che mangia se stesso e bla bla bla, la seconda volta, molto stridente visto che prima e dopo gli attori erano farsescamente in delirio, è quando Ofelia, che tra l’altro non è manco interpretata da ‘sta grande attrice, fa un monologo sfiancante sulla morte per acqua, sul peso dell’acqua, su mascelle spappolate e ossa schiantate e se l’acqua fosse amore, ahimé, muoio. “E muori”. Io per tutto il tempo speravo che Amleto, che, dopo averla sfottuta per un’ora, la sorreggeva adesso tra le braccia, le assestasse un calcio bello dritto e la buttasse giù dal palchetto. Parlar troppo – è noto – è un fronzolo esteriore.

domenica 1 luglio 2012

parigi, l'incomprensibile

Stare seduta su una lapide a pere lanchese cortesemente messami a disposizione dalla famiglia pisson per ripararmi dalla pioggia fastidiosa ma anche questo è uno scarso riparo perché la pioggia mi ha sorpresa in sandali e senza ombrello. Ieri sera sulla 14 un uomo leggeva sartre e matrone cariche di borse delle galleries lafayette mi spintonavano di malagrazia. quello che pare l'hobby dei francesi: ho litigato con uno al museo carnevalet perché mi si è attaccato come un frotteurista e si è offeso quando l'ho guardato male, perché io non merito nulla, perché di fronte a un quadro di atget stavo prendendo appunti sul cellulare, ergo per lui stavo mandando sms in un sacro luogo di cultura. francesi! Ho sempre addosso il minuscolo coprispalle bianco, perché fa freddo, anche se la notte mi sveglio con il coppino sudato. Parigi resta sporca e disordinata, con odori di aglio e spezie che richiamano a cibi che non posso ritrovare. Alle dieci di sera è ancora chiaro e allora compro gli ultimi macarones del carrefour, avendo voglia di una pietanza che neanche so quale sia. io che ho voglia di cose che non so quale siano. è così da molto tempo. Mi ha sorpassato un ragazzo che camminava leggendo il bel ami e sulla 2 c'era un negro con i rasta ossigenati. Le massaie trascinano borse con le rotelle, le trovi anche agli angoli di strada, legate con le catene. le borse, non le massaie, le borse. al mercato di belleville te le sbattono sulle caviglie e i polpacci e pure il culo. le borse, non le massaie. Il cielo è sempre plumbeo. I parchi ariosi. Le viette puzzolenti. I muri imbrattati. Le pareti come troncate a metà. I gatti sono spigolosi e diffidenti e ovunque si sentono pigolare uccelli. Il mio letto è corto e duro e la finestra dà su una pizzeria. Mi sento molto, troppo lontana da me. Mi arrabbio con questi francesi maleducati, che ti spingono ti sgambettano ti spostano hanno bambini urlanti e indisciplinati e bici e monopattini che sfrecciano rasenti il mio corpo. questi francesi vestiti stravaganti come per andare in scena nella grande recita che è parigi. Non chiedono permesso nè scusa e ti spostano di peso, affannandosi a correre verso la porta della metro. Manifesti che innaggiano all'essere ipergay, ebrei che vogliono giocare soli con luca, passages che sono solo pianerottololi aperti, la scoperta del chai tea latte e il più sontuoso starbucks al mondo, le salse kosher e il mercato delle pulci più triste del mondo. imparare la parola fattoria, analizzare lo sguardo del cavallo di giovanna d'arco (più intelligente di quello della padrona) spaurirsi nelle vie troppo affollate e adorare quelle deserte. Lo specchio con i baffi. Il film porno DXK, i burro insolenti. Barracuda. I vestiti da sposa accanto a vestiti da sposa accanto a vestiti da sposa in stile bomboniera. 5.500 euro per un elefante fatto di giocattoli di plastica. La gente buttata sotto un cartone a republique, con i figli disidratati e attoniti con occhi enormi. Il clochard con la barba insanguinata. Il pupazzetto di max ernst e il quartiere dell'orologio, dove l'omino di latta combatte il drago e tutti e due mi fanno paura. Il sidro e lo champagne, e i macaron venduti al mc donald. I big jim nudi usati come ornamento, i clacson, i clacson, sempre i clacson. e il tizio che canta la lirica sotto la mia finestra. Cibo rancido in vetrina, asfalto rotto, bici e motorini che non rispettano il semaforo e ti tagliano la strada mentre attraversi. gente che la mattina passeggia fumando una canna, in un caso portando a spasso il pupo nel passeggino. Uomini appesi ad aspettare cosa agli angoli delle porte - negozi di serrature cacche odore di burro e aglio e erbe aromatiche. Anfratti. Senza tetto che tengono accanto al sacco a pelo vasi di gerani. Le ricercatissime foto in cui cambia l'immagine ritratta se le muovi e ancora le borse con le rotelle. Pezzi di bicicletta. Asfalto lurido di cose che non immagini. La tipa dietro di me ha appena scatarrato a un palmo dalla mia schiena. Calcinacci. Negri vesititi con completi giacca pantaloni in colori sgargianti, spesso nocciola, a righe. Negri con le tuniche da negri. Donne di tutti i colori con i nastri in testa. collant. scarpe invernali senza calze. La grisette. Un croque madame. Il kebabbaro "le zorba". La gente che ti sorpassa a destra, ma prima ti si appiccica, e la senti che ti respira tra i capelli. Lo strano destino del sacchetto di baguette che giace per terra, il pane umido ritorto come stronzi. Una canzone alla radio che sembrano i pulp. Scoprirsi a pensare sempre in inglese. Urla al mercato di belleville: fichi neri, lunghi cetrioli, pesche bianche, albicocche minuscole e pomodori gialli. Tutti che urlano e spingono e nella calca si trascinano le loro gigantesche borse a rotelle, che sono l'equivalente del trolley a milano. Spingono e urlano e in mezzo due vecchi tunisini in tunica con delle borse di plastica in mano, dicono "de burse, de burse" e sembrano desolati e poveri e rassegnati e desertificati. Odore acre di piscio alla brasserie dove pranzo. Gran copia di gente con le stampelle. Il cuoco che viene a dare la mano ai miei vicini di tavolo e cancella un piatto del giorno dalla lavagna: ora il filet de lieu non ha più contorno. Va molto l'orientale tatuato che scodinzola camminando e l'abbigliamento militare, per donna e per negro. Va molto il monopattino con cui scagliarsi nelle caviglie dei passanti. Va molto la giacca di lana. va molto il bambino urlante, l'espadrilas, il galaxy della sansung. Perdersi. strade deserte, lucchetti, nuvole veloci, acqua lenta nel canale, una casa di cartone, una serie di archi, una via solo di ristoranti giapponesi. vivere in un passage, senza la luce del sole e senza pioggia. pupazzi, calamite, mandorle, fiori, panchine inutilizzabili perché assediate dai barboni. Guardare una mappa girandola attorno. Ritrovarsi. Pensare che poi non importa. Nessun poliziotto, nè gatto, o cane. Pochissimi bambini. Gran numero di coppole e di orologi. Culi. Rughe. Ginocchia nude. Kippah. Espadrillas a ciabatta, senso di boh.

venerdì 22 giugno 2012

Se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarmi..

l'amico mi dice: aiutami, voglio una bdonna. e io ancora una volta mi trovo spaesata di fronte a queste persone che vogliono UNA donna, uUN uomo, io che ho sempre voluto QUELL'uomo, forzse addirittura sono vent'anni che voglio propriuo quello lì. mi dicono che si annoiano, che una ragazza porta equilibrio, e che sono circondati da uomini noiosi e sfigati. e mi vien da dire, citando la frase di alex nell'ultimo film di gondry, THE WE AND THE I: in cosa credi di essere diverso, cosa ti dà il diritto di pensarti diverso dalle persone di cui ti circondi? non capisco questi uomini e queste donne che sperano che arrivi qualcuno, un qualunque QUALCUNO QUALSIASI (è il sogno della vita mia, essere scelta in quanto QUALUNQUE QUALSIASI, non è anche il vostro?) che li prenda e li tolga dalla noia e dal caos. e io mi chiedo: perché io dovrei impegnarmi a tirar fuori dalla noia e dalla banalità uno che non è stato capace di uscirne da solo? perché nessuno pensa mai di dover essere meritevole di amore, in uno strano narcisismo che ha eguali solo nei bambini di sei anni? per me è normale cercare di essere la persona migliore possibile, più autonoma e matura possibile, senza aspettarsi un salvatore, perché che biancaneve fosse una storia fasulla l'ho capito attorno ai vent'anni, e quando la persona magnifica di cui mi innamorerò arriverà, non potrà fare a meno di me, perché sarò io, e sarò già completa. e questi adulti urlanti e piagnucolosi che vogliono una stampella che sistemi loro la vita, sarebbero mai disposti a fare da stampella a qualcuno? credo di no. credo pensino che loro meritano aiuto, ma nessuno merita che loro lo diano. oppure, possono pensare di darlo, ma solo per legare in modio indissolubile la vittima designata QUALUNQUE a loro. e, in ogni caso, se sei storto non puoi fare la stampella. onestamente, io conosco solo cinque o sei persone dritte, pronte per un rapporto. tutti gli altri, sono bambini piagnucolosi che si sono accontentasti della prima persona che li ha guardati e che la getteranno via o verranno gettati via alla prima difficoltà. perché nessuno può riempirti il buco che hai dentro. e quando ti accorgi che il qualcuno che ti è capitato non risolve nulla, ti limiti a pensare che è il qualcuno sbagliato (e per forza, l'hai scelto a caso!) e che devi trovarne un altro. non sia mai che capisci che sei tu, lo sbaglio di questa storia.

lunedì 18 giugno 2012

l'orrendità della creatura che sono

un tempo mi ero regalata a te. adesso quando entro al bar e ti saluto, mi fissi e non rispondi. è uno dei miei più grandi dolori, e mi sento scema, perché alla fine non ci parliamo da tipo 18 mesi. però per me è sempre così. più un uomo ha contato per me, più mi pare di non essere capita, quando tutto finisce. ed essere imprigionata in un'orribile immagine di orrore che vede lui. solo lui. che solo io non vedo. magari sono una creatura orrenda, ed i miei ex lo vedono.

mercoledì 23 maggio 2012

la stronza dell'appartamento 23

Vi prego datemi più “Don’t Trust the Bitch in Apartment 23”. Ancora e ancora. La serie, solo alle primissime puntate, sulla ABC America, è conturbante e confusissima. Racconta di una ragazza arrivata a New York per un nuovo lavoro. Il giorno stesso, la sua azienda chiude e lei, il cui nome è June (Dreama Walker), trova da vivere presso Chloe (Krysten Ritter), una bellissima morettina che sembra tanto dolce. Ma è la stronza dell’appartamento 23, e June ci metterà poco a capirlo. E anche, a sorpresa, a diventare sua amica. Le due infatti raggiungono un equilibrio, in cui June è la giovane buona, efficiente, materna e onesta, e Chloe la bellissima stronza, che per vivere fa certamente la prostituta. Con loro un ricco cast di comprimari, tra i quali emerge James Van Der Beek, che interpreta se stesso, ovvero l’attore protagonista di “Dawson Creek” che cerca di farsi una nuova carriera e che non si fa problemi a sfruttare il suo passato, soprattutto per sedurre le fans. Ci sono anche Mark, ovvero Eric Andre, il capo di June al fast food, e Robin (Liza Lapira), la vicina ossessionata da Chloe.
La serie tv è fresca e cinica al tempo stesso, ripropone standard abbastanza rassicuranti in una nuova chiave di lettura, e ha due donne per protagoniste; una di queste è davvero stronza, meschina, senza morale. La perdoniamo solo perché la vediamo attraverso gli occhi angelici di June, e ci sembra simpatica, e perché i casini che combina (aka prendere in affido una trovatella perché le faccia da segretaria, previo poi restituirla perché non era abbastanza brava) sono talmente assurdi che non si può che ridere. Chloe è manipolatrice, bugiarda, sessuomane, alcolista, invadente, egocentrica, narcisista, ladra e bizzarra. In una puntata, fa di tutto per mettere June con un bellissimo giovane (Scott, interpretato da Michael Landes, da sbavarci, ragazze!) che alla fine scopriamo di essere nient’altro che il padre di Chloe, che sta ancora con la madre di lei che per giunta è sulla sedia a rotelle! Chloe neanche sa il perché dell’handicap, non glie lo ha mai chiesto, e la odia, perché quando era bambina (e la mamma era già immobilizzata) lei non la portava a pattinare. Le scene con James Van Der Beek vanno viste TUTTE. E non aggiungo altro: ogni singolo fotogramma con lui presente fa morire dal ridere, soprattutto quando.. BALLA.

martedì 22 maggio 2012

Aspettate che arriva Chtulu

Credevate di andare a vedere un horror, e invece era un film filosofico. Filosofia spicciola, ma sempre filosofico. Sto parlando di “Quella casa nel bosco” di Drew Goddard sceneggiato da Joss Whedon (sì, sempre quello di “Buffy l’ammazzavampiri” e di “The Avengers”). Siete andati al cinema per vedere dei mostri, demoni, fantasmi, zombie, maniaci, fare il culo ai soliti cinque adolescenti. Quelle cose classiche dei film, come in “La Casa” o “Non Aprite quella Porta”, si sa che ragazzi che partono per gita fuori porta significa morte sicura. I ragazzi all’inizio erano simpatici. Diversi da quelli soliti dei film horror, così stereotipati. Oddio, poi se vuoi star lì a cercare, anche loro, seppur così carini, con le loro battute davvero divertenti e il loro spirito di corpo (Whedon resta un maestro nel far parlare gli adolescenti) i soliti stereotipi (un horror non può esistere senza stereotipi, in primis tra i personaggi): figo muscoloso biondo, tipo con gli occhiali più intellettuale, fighetta bionda, ragazza è più riservata e studiosa e tipo strano riesci a individuarli anche qui. E mentre il film procede, inizi già a pensare – io lo faccio sempre – chi sarà il primo a morire. (Risposta all’unisono: la bionda). Il film però è intercalato da un gruppo di scienziati che sperimenta un evento e studia le mosse dei nostri cinque. Sono in competizione con il Giappone e in contatto con il benzinaio spaventevole con cui i ragazzi hanno a che fare raggiungendo la casa nel bosco. A breve capiamo. Gli scienziati stanno organizzando uno spettacolo horror (i competizione con il Giappone) per calmare qualcuno. E lì pensate: siamo noi, quel qualcuno? Si tratta di una riflessione metacinematografica, in cui gli scienziati rappresentano (non senza sarcasmo da parte di Whedon) tutta la troupe, che mette in scena la trappola alle vittime previste e ha un armadio pieno di mostri d’ogni tipo (e che citano di tutto, dai pipistrelli giganti a “Hellraiser”, da “The Strangers” a "It" ai “Critters”) la cui sfilata sullo schermo ricorda molto la scena madre di “13 spettri”. Tutto questo solo per intrattenerci, mentre scommettiamo su come andrà a finire? Beh alla fine non va a concludersi come gli scienziati volevano e gli Antichi (i mostri per rabbonire i quali va fatto il sacrificio. Un nome un po’ lovecraftiano, no?) non sono soddisfatti. Quindi, i film non fa paura. Buona parte degli effetti speciali è quasi ridicola. Le citazioni a “La Casa” sono in ogni angolo. Il film va un po’ a merda e non ha una vera trama. I personaggi sono simpaticissimi e ci si affeziona davvero a tutti (anche a figo e figa prima che, per via dell’esperimento, diventino i tipici figo e figa di tutti i film di mostri americani). Bella anche l’idea di far sopravvivere due del gruppo, e i due non sono né sono mai stati una coppia. Da vedere perché è un saggio, anche se incompleto, sulle pratiche dell’ horror, sui suoi meccanismi, sui suoi motivi. Purtroppo ondivago, ma è il primo film horror senza horror che io abbia mai visto.

lunedì 14 maggio 2012

“Another Earth” è un capolavoro. Ma da assumersi con moderazione, perché terminata la visione vi sentirete sopraffatti e sconfitti. Il film è talmente pervaso da un senso di determinazione, dal messaggio che tanto è inutile opporsi al proprio destino, che neanche la scena finale, che sta ad indicare che nell’altro mondo forse le cose possono essere andate meglio, riabilita il messaggio. La protagonista è Rhoda (un’intensissima Brit Marling), promettente studentessa che sta per entrare al MIT. La sera della sua festa di ammissione all’università, si scopre l’altra terra. Ovvero, un pianeta identico al nostro, che si sta avvicinando a noi. Mentre guarda in cielo, si schianta contro un’auto ferma a un semaforo, uccidendo madre e figlio a bordo. La sua vita è distrutta. Finirà in carcere e, una volta uscita, il promettente genio farà le pulizie nella sua ex scuola. Ma un giorno, decide di cercare il padre, John (William Mapother). Tra i due si crea un rapporto fatto di silenzi e di musica. Entrambi hanno la vita distrutta da quell’episodio di cui non parlano mai. Entrambi hanno sprecato il loro talento (lui era un professore e un musicista), entrambi sono diventati white scum, entrambi non parlano, entrambi sono ossessionati dall’altra terra, dove si scopre vivono alter ego, o doppleganger , di ogni persona sulla Terra. Quindi, lassù, forse, il loro alter ego ha avuto una vita migliore, è quel che entrambi pensano, ma non dicono mai. Rhoda fa un concorso, riesce a vincere: sarà la prima persona a visitare l’altra terra. Va a comunicare la novità a John. Viene scoperta: è lei l’assassina. John l’abbandona. Lei alla fine gli cede il proprio posto, in un finale atto di autopunizione. Sarà lui a partire, perché lassù, forse, sua moglie e suo figlio non sono morti. La vita della ragazza riprende come sempre, sino al colpo di scena finale.
Il film di Mike Cahill è intenso e poco parlato. Si gioca sulle tensioni e le angosce che i personaggi (anche secondari, su tutti, maestoso l’inserviente muto) portano dentro., Bisogna capirlo, capire perché Rhoda cerca John, perché lui l’accetta, perché si innamorano (senza dirlo mai, né fare alcunché di romantico), perché hanno deciso di sacrificare le loro vite e perché l’amore dà loro la spinta per forse fare qualcosina (per Rhoda una minima cosa) per riprendere in mano se stessi. Perché Rhoda grazie all’amore decide di andarsene dalla Terra, abbandonando il suo uomo che proprio questa forza le ha dato. Perché lui la lascia andare o, meglio, se ne va, scegliendo l’altra vita, quella precedente a lei. Un film che potrebbe essere di fantascienza (“Solaris”) o rieccheggiare “Malincholia” diventa una pellicola di espiazione, e poi cambia ancora: il suo tema è il doppio. John è il doppio di Rhoda, che incontrerà poi il suo vero doppio (che evidentemente ha vinto sull’altra terra lo stesso concorso fatto da lei, e non ha ceduto il biglietto a John, perché su altra terra John è felicemente sposato). Come sarebbe il vostro, su Terra2? Perfetti gli interpreti, comunicano a sguardi, ad atteggiamenti. La regia è gelida, documentaristica. La fotografia fredda, grigia, scarna, squallida. Il film è maestoso, e fa piangere incessantemente. Si osservano queste due persone mandare a quel paese la loro esistenza, e si soffre con loro e per loro, perché non c’è, non ci potrà mai essere una via d’uscita. Per loro, ma forse anche per noi.

sabato 12 maggio 2012

improvvisamente

ve lo ricordate da ragazzetti, quando ci si sentiva sballottati e d'improvviso arrivava un gran mal di testa, un senso di distaccamento dalle cose, voglia di scopare, fame? ecco. a quarant'anni non si dovrebbe stare così, but today i'm happy, ancbe se non sarò mai marina pierri.

venerdì 11 maggio 2012

io, casalinga disperata

Domenica andrà in onda negli Stati Uniti l’ultima puntata di “Desperate Housewives” che per otto anni ed altrettante stagioni ci ha fatto compagnia, creando addirittura uno stile nella serialità televisiva e diventando parte del pensiero unico. Marc Cherry, che ha creato la serie, l’ha lasciata con la settima perché vuole dedicarsi ad altro e la vicenda delle casalinghe americane è arrivata alla conclusione. Tutti guardano o hanno guardato almeno una volta la storia delle cinque donne (a Bree, Susan, Gabrielle e Lynette si aggiunge Edie Britt, non una casalinga, perché ha un lavoro, ma tant’è) di Wisteria Lane. Persino Laura Bush, che in un’occasione definì casalinga disperata se stesa e Lynne Cheney. La storia è un mystery, velato di soap, con improvvisi momenti di satira sociale. Soprattutto, è un modo per descrivere la vita dell’elegante suburbia americana, dove vivono i ricchi, per lo più bianchi, per lo più etero, con i loro segreti e le loro morbosità. Il quartiere fatto come tante scatole, ciascuna con il suo segreto. Idea ampliata ed approfondita dalla serie “Weeds”, dove la malattia che regna sotto la lucida superficie del suburbia è ancor più visibile. La metafora delle scatole e della normalizzazione fasulla del quartiere suburbano in “Weeds” era esplicitata, a partire dalla sigla, “Little Boxes” di Malvina Reynolds (rifatta poi da un musicista differente per ogni puntata), con le sue casette tutte uguali, le persone tutte uguali, i lavori tutti uguali. Queste donne si vogliono bene e si supportano, sono buffe, a volte goffe, altre meschine. Sono estremamente caratterizzate e ciascuna è un tipo ben definito di casalinga. Per questo ciascuna rappresenta un pezzo di noi. La serie ha vinto due Golden Globes nel 2005 (uno è andato a Teri Hatcher, che è Susan, l’altro come miglior serie), un Emmy nel 2005, andato a Felicity Huffman (Lynette ) e - nel 2006 - un Golden Globe come miglior serie. Quando la ABC la mandò in onda per la prima volta nel 2004, fu un immediato successo. Le quattro casalinghe intente a scoprire chi ha ucciso la loro amica (e voce narrante)Mary Alice ci portarono a capire che i segreti a Wisteria Lane erano davvero tanti. Una sorta di Twin Peaks senza mostri. Ciascuna serie ha avuto al centro un personaggio e il suo mistero. Dopo Mary Alice, Betty- e suo figlio matto, Caleb – poi Orson e il suo passato (la moglie non morta), Katherine (e sua figlia finta), Dave (che deve vendicarsi di Mike), Angie (che uccide Patrick), Paul (anche lui con una storia di vendetta), e, nel gran finale, Carlos e le casalinghe, che hanno nascosto il cadavere del patrigno di Gabrielle.
“Desperate Housewives”, indirizzata per lo più a un pubblico femminile, univa non solo commedia, drama e soap, ma anche giallo e satira, e in questo fu rivoluzionario. Le casalinghe disperate sono diventate un fenomeno culturale. Altra scelta innovativa, dalla terza stagione, è stata di far morire uno dei personaggi chiave, come ha insegnato la serie “Oz”. Muoiono Carolyn, Ida, Paul, Mike. Inoltre, Orson resta paralizzato. Uno stillicidio. Quante coppie sono scoppiate in questi anni, anche se alla fine Gabrielle resta con Carlos, Susan con Mike – sinché non muore, Bree con Orson – più o meno - e Lynette con Tom; quanta gente è morta ammazzata (nell’ultima serie, Alejandro e Mike) , quanti ricatti (a Bree, recentemente), quanti crolli finanziari (si sono impoverite prima Gabrielle, poi Susan),e quante problemi da affrontare, come l’alcolismo di Bree, o la storia del giovane omosessuale Andrew che decide di diventare etero, più figli (più o meno adottivi), misteri, drammi e risate. In Italia l’ultima serie sarà su Fox Life dal 30 novembre. Si vedrà il rapporto tra le quattro logorarsi, visto che, per la prima volta, il segreto al centro della serie è condiviso da tutte e quattro le protagoniste. Arriveranno nuovi vicini (tra cui Ben Faulkner, interpretato da Charles Mesure), il problema di Bree, il lutto di Susan, Lynette abbandonata e forse ripresa… più le storie quotidiane che ben conosciamo. La serie finisce, con un record di ascolti, e non resta che vedere quale eredità lascerà nella storia delle serie televisive.

sabato 28 aprile 2012

malviviendo, un pezzo da tutti rifiutato (studio, vince, grazia, duellanti, blow up..)

do è il prodotto di una mente chiaramente malata e spiegarlo in un articolo è una sorta di mission impossible. Infatti, se mi limitassi a dire che la serie narra delle vicende di quattro ragazzi che vivono in una desolatissima, rupestre, abbandonata, sporca e cadente periferia di Siviglia, chiamata Los Banderilleros. Sono ladri (Postilla), spacciatori (Zurdo), consumatori assidui di stupefacenti (Negro) o violenti (Caki) e si circondano di personaggi secondari (il morto, il mateo, lo spartano, il ratto), freak totali. Fare solo questo non rende giustizia alla sertie (visibile solo sul web) scritta, ideata, diretta e interpretata dal fascinoso David Sainz. La qualità la fanno le battute folgoranti, la crudezza equiparabile a quella di South Park, le situazioni assurde, il cinismo e l’anticonformismo. Ad esempio, quando Negro torna alla sua roulotte e la trova occupata da una dozzina di romeni che non intendono rendergliela. Sconfitto, dice: “Tornerò, con il Caki”, e si allontana. I romeni parlano tra lori e concludono si tratti di “Caki, il terrore dell’Ovest. Attacchiamo il mulo alla roulotte e andiamocene”. C’è infatti un che di infantile nelle storie di Malviviendo, in particolare nel mitico Caki, che potrebbe essere il “miociggino” della canzone di Elio e le Storie Tese in carne e ossa, un supereroe cattivissimo, che, nonostante sia su una sedia a rotelle, vince ogni battaglia. Cattivissimo, sporco, aggressivo, sabavate (a litri, nell’episodio del calcetto a sette), armato ed idrofobo, impossibile da cogliere impreparato, velocissimo, furbo, temerario. Come l’amico immaginario di quando eravamo piccoli.
Il suo contrario è lo Zurdo, goffo, dsfigato e credulone. Tutto è nato nel 2008, con il primo video, fatto con una Panasonic semiprofessionale, un microfono e il pc di casa, un bugdget, si dice, di 40 euro. La seconda serie invece è di ottima qualità, con filtri colorati (sulla prima serie imperavano colori spenti e tristi, una Siviglia gelida e desolata) e inquadrature dall’alto, oltre a una pellicola di migliore qualità. Ora è nata la casa di produzione dei ragazzi che danno vita alla serie, che si arabattano facendo anche clip musicali e pubblicità. Una risposta alla crisi, secondo molti, e la dimostrazione che a volte si può riuscire a fare ciò che si desidera Nel 2009 il progetto ha ottenuto il supoporto di Qualid (sponsorizzazione Nokia) e ha lanciato dei mini episodi (su Mateo, su El Puto) e lo spin off, su Caki. Ma la serie continua ad essere sul suo sito, e a non passare in televisione. Questo perché alcune emittenti hanno offerto pochi soldi e altre hanno chiesto di censurare alcune scene, ammorbidendo (snaturando) lo stile della serie. Rivoluzionario in Malviviendo, che per anima surreale ricorda Scrubs, è il fatto che tratti di giovani proletari, delle periferie, e non della borghesia che ovunque, non solo in Spagna (eccezione sono le serie UK Misfits e Skins, oltre a ovviamente The Wire), fanno la parte del leone. È facile identificarsi. Nonostante i personaggi siano borderline, tuttavia si riconoscono nei valori come amicizia o l’ottimismo con cui affrontano le disavventure nel quartiere. A tutti sono capitati alcuni degli incidenti descritti in Malviviendo, seppur in versioni meno paradossali, come ad esempio cercare di sfuggire a uno scocciatore, cercar casa invano, non aver soldi, combinare un guaio e dover fare i conti con le conseguenze, non essee in grado di portare a termine un compito. Solo che l’atmosfera allucinante delle storie di Sainz rende tutto molto vicino e al contempo molto lontano allo spettatore. Per gli appassionati di cinema e serie tv c‘è da sbizzarrirsi con le citazioni disseminate nelle puntate. A partire dalle sigle di testa, ispirate ad altre. Si tratta di Soprano, Misfits, South Park, How I meet your mother, Sex and the city, X Files, Prison Break, Dexter, My name is Earl, Boardalk Empire, Lost, It Crowd ma anche lo spagnolo Callejeros. La puntata con la sigla ispirata a Misfits cita Inception, Donnie Darko e addirittura, nella scena finale, I Griffin. Un altro episodio, “Fumar juntos, morir solos”, cita Lost e “vivere uniti, morire soli“. E’ divertentissimo studiare gli episodi e trovare le citazioni, facendo magari a gara con gli amici. Altrove, una lunga scena ripresa pari pari dal monologo “choose life” di Trainspotting. Fantastica poi la citazione “Postilla don’t cry” featuring Puto Largo dei KSR, che si rifà ai Backstreey Boys, con Negro, Caki e Zurdo, a cantare una strofa ciascuno. E a proposito, Malviviendo presenta tanta buona musica andalusa, da non perdere. Nella seconda serie ci sono anche special guests. Oltre al già citato Puto Lartgo, c’è Juan y Medio, comico e presentatore di lungo corso spagnolo.

venerdì 13 aprile 2012

conoscere la gente, non le notizie

una delle cose più frustranti del cercare di farsi strada alla mia venerabile età è scrivere mail e fare telefonate a persone sconosciute o ad amici ugualmente e in modo molto democratico essere ignorata da tutti allo stesso modo. a chi mi conosce, a chi addirittura ha imparato il lavoro con me e in questi anni non ha evitato di chiedermi aiuto, ho semplicemente detto: non ho una lira da agosto, ti va se collaboro? il mio lavoro lo conosco, sono 15 anni che lo faccio, e al di là che io possa risultare simpatica o antipatica, conosco tutti. e nel giornalismo locale "conoscere tutti" E' il requisito. non mi rispondono. non si disturbano neppure di dirmi: no guarda. nulla.
scrivi a gente che non conosci, mandi idee: la figura della donna nelle serie tv, o quella serie nuova uscita solo su internet, le biopic su personaggi vivi, gli scambisti del web, nuove tecniche per fare misica. nessuno risponde. nessuno. come se io non esistesi e quel che è peggio capita pure che poi scopri che la tua idea è stata pubblicata, sì, scritta da qualcun altro. scrivo al noto direttore anglomilanese amico della mia amica e gli dico: "puoi guardare questo pezzo, dirmi se potrebbe andarti bene, o dove non gira?" non mi ha mai risposto. mi rendo conto che non è il talento che mi manca. mi farò anche bocciare all'esame di giornalismo, ma ho personalità nello scrivere, belle idee e solida cultura. quindi mi manca solo che non siamo amici? che non mi devi nulla? che alla fine non si persegue l'obiettivo di editare una pubblicazione migliore e quindi se anche "quello mi manca" si fa senza? non lo so. neanche ho chiesto un compenso!
i giorni passano, io mi spacco la testa a scrivere cose che nessuno pubblicherà, né leggerà mai, e a chiedermi quanto posso fallire ancora.

sabato 7 aprile 2012

non essere piu

Succede sempre più spesso sentirmi invisibile. Una sorta di L'Aquila, un Gesu' sulla croce che non capisce perche' c'e' finito. Mi guardo allo specchio per vedere se esisto. Ci sono. Allora non capisco perche' il Mondo faccia come se fossi scomparsa di gia'.

lunedì 2 aprile 2012

juliet

Per fortuna, che ho juliet.
Voi lo sapete quanto e' bello prendersi cura di qualcuno che si prende cura

venerdì 16 marzo 2012

Amiche e nemiche sono per sempre

Sì in effetti in molti dicono che io odio il Biondo Topo della mia Infanzia. Ma ora che ci penso, no, non è affatto così. Il Biondo Topo della mia Infanzia infatti mi è del tutto indifferente. O, meglio, ho un interesse verso di lei perché mi pare così vincente. Il Biondo Topo della mia Infanzia; infatti non è molto intelligente, decisamente più scema che intelligente. E' bruttina, ma molto snella, e si è applicata con cura a diventare bionda, a rendere la sua magrezza un sinonimo di sciccheria e ogni giorno si trucca giudiziosamente. Spende credo ogni suo avere in abiti. ma in realtà il Biondo Topo della mia Infanzia è ricca, e ha sposato un ricco. e ha studiato con fatica allo scientifico e po a un corso parauniversitario, e ha aperto un negozio dove vende cose costose, e dove fondamentalmente lavorano i dipendenti, mentre lei trascorre il tempo al bar accanto. non ha avuto una vita folgorante. pochi interessi, sin da piccola si è innamorata di uno che forse non la reputa poi degna di particolare interesse, ma che intanto l'ha sposata, ha comprato casa in centro, ha fatto una figlia bambolottolosa uguale spiccicata al marito con l sguardo porcino, e conduce la sua vita così. in breve tempo, però, il Biondo Topo della mia Infanzia è divenuta una autorità nel commercio locale ed ha ottenuto il rispetto della politica. ed è qui che io ho di nuovo a che fare con ella. e mi fermo a meditare su di lei. Non la odio, ma non solo, non l'ho mai odiata. L'invidio in modo placido, perché credo non si possa un po' invidiare una che ha avuto tutto, o, meglio, tutto ciò che ella voleva (a volte il grado di realizzazione è proporzionale al desiderata e non all'ottenuto), e che pare la vita abbia risparmiato dai dolori e dalle delusioni. Poi si fa in fretta a giudicare se non si sa. Io la mia vita, per quanto sconclusionata e senza scopo, non la scambierei con la sua, però con una vita senza dolori sì, anche se "i dolori formano".
Ci penso e mi dico: io mica la odiavo. Io odiavo il sistema attorno a lei. Odiavo il fatto che il Biondo Topo della mia Infanzia, che pure da dodicenne sfigata nasona con l'apparecchio e i collant color carne, sapevo riconoscere come una tonta senza carisma con la facia i capelli e gli occhi da topo, fosse dal resto del gruppo vista come il leader. Non comprendevo perché due terzi della mia classe la guardasse adorante. Ci si rivolgeva al Biondo Topo della mia Infanzia (che aveva due strategie di azione: o restare basita con fare intelleggibile, o copiare idee e soluzioni altrui, anche, ma non solo, mie) per ogni questione. Ella era la somma autorità culturale, morale ed emotiva della classe. E io a pensare: ma che ci trovano? Sono passati vent'anni e me lo chiedo ancora. in realtà non è che io avessi un problema con la figura carismatica. No. Certo, mi vanto di poter considerare che non mi facevo imbelinare. Nel gruppo di cui io facevo parte, la guida spirituale era Annarosa, che non so perché fosse stata assurta a questo ruolo, dato che pure lei era piatta come la pianura, senza sogni, aspirazioni o anche solo un afflato di vita. Era gentile con tutti, ma non credo fosse sufficiente per assoggettarsi al suo voler. Io mi assoggettavo, ovviamente. Facevo parte di un gruppo che la osannava come una madonna. Io non la osannavo ma seguivo il gruppo, facevo, direi, una azione non violenta. Lo sapevo, anche da ragazzetta, che io non avrei comandato un bel nulla, perché ho un carattere spigoloso e troppo anticonvenzionale perché chicchessia si affidi a me,. Allo stesso modo, però, sono troppo anticonvenzionale da poter apprezzare di ubbedire davvero ad un'Annarosa.
Poi alla fine io una guida l'ho trovata. Avevo 14 anni. La Baiguer era mediamente intelligente. Non un genio. Intelligente come o poco più di me. Non bella, ma neppure brutta. Con una goffaggine di fondo che si svelava nella sua eccessiva altezza,nei fianchi larghi cui non corrispondeva un seno adeguato, nei vestiti "sbagliati", come erano sbagliati i miei. Lei portava le felpe con il colletto da bambina e i jeans che andavan giù dritti. La Baiguer non aveva chissà quale interessi. Non è che leggesse, ero io che leggevo. Non è che ascoltasse la musica più ricercata, lei cantava Sciogli le trecce e i cavalli. Non era alla moda, né ricca. Era anche la più brava della classe. Era gentile, ma quando una cosa non le andava non è che facesse finta di nulla. La Baiguer era spiritosa. A volte in un modo paesano, bresciano, di cui però era consapevole, e scherzava anche su quello. Il suo umorismo era paradossale, e non so ora dire se è da lì che ho mutuato il mio, o se avessi già quello stile e semplicemente mi fossi ritrovata in lei. Dove siamo finiti tutti? Come? Annarosa ha figliato in abbondanza, e il marito non c'è mai. Biondo Topo della mia Infanzia ha la sua vita Beverly. E credo che anche Baiguer sia serena, l'ultima volta che l'ho vista stava per sposare un farmacista. Io e la mia pretesa di essere atipica, beh, siamo qui, a fare le adolescenti.

giovedì 8 marzo 2012

Marriage kills your souls

La notizia è che il Nini ha lasciato il gruppo. Ci resto male, bnon mi stupisco, sono sollevata. Come quando una persona malata terminale da tanto tempo muore. Una parte di noi ci dice che almeno è finita. Pensare al gruppo senza il Nini per me ha poco senso, ma non c'era mai e è meglio così, come sollevarsi da un problema che non ha soluzioni.
A pranzo il Gio' ribadisce che è meglio così, che se non trovava tempo per andare alle prove, questa è la scelta giusta per tutti.
Gio' ha chiesto a Apollo se voleva suonare al posto del Nini. Apollo ha spiegato che ora è sposato: non può mica uscire troppo di frequente, meno che mai fare le serate, magari addirittura lontano da casa. Questo nonostante che lui e sua moglie siano in compagnia con tutta la band e le fidanzate dei loro componenti.
Il Gio', per temperamento, accetta, non discute, fa spallucce e dice che gli dispiace, ma va bene così, che non sta a lui mettere in discussione le scelte altrui.
Io mi soffermo a meditar. Si cambia d accade per molte ragioni. Non mi aspetto che i ragazzi siano gli stesi di quando li ho conosciuti, 11 anni fa. Però penso che le strutture sociali schiacciano molto spesso le persone, soprattutto quelle il cui orizzonte è imitato, che hanno un'esperienza di vita più raccolta. Qui nelle disperate lande del sud della Padania, il matrimonio comporta per molti un cambiamento nello stile di vita. Se ti sposi devi "metter giudizio", il che comporta non uscire più di casa, se non per la Festa della Donna o il raduno annuale della tua classe. Per il resto, si esce solo con tuta la famiglia, il che comporta una vita sociale sempre più sterile, perché dove vai con tutta la famiglia e poi non vorrai mica frequentare quei senza dio dei tuoi amici di quando eri scapolo, e alla fine si finisce nel baratro televisione pannolino nanna. Immagino che a molti piaccia e non voglio mettere in discussione le loro scelte di vita. io ne ho fatte altre, o il caso le ha fatte per me, e non accetto di sicuro che la mia amica che ha figliato mi venga a dire _e come sapete lo ha fatto _ che sono una ragazzetta immatura perché i miei lombi non hanno dato alla luce eredi. Quindi non lo dirò. Ma dirò che se la scelta è imposta dall'esterno, da convenzioni sociali, da mariti ossessivi o da mogli castranti, mi annichilisce. Sappiamo tutti che Nini era un pazzo che avrebbe messo su famiglia e sarebbe invecchiato facendo l'orto ed insegnato ai suoi figli ad andare in bici, come credo suo padre abbia fatto prima di lui. Se bon andava alle prove era in primo luogo per pigrizia. Il suo senso di responsabilità gli dice che deve stare a casa con sua moglie e i bambini, ma non credo che a casa si metta all'opera per cucinare o pulire o occuparsi di figli così piccoli che per le nove, orario prove, sono già addormentati. Il gruppo era per lui l'unica occasione di continuare a vedere gli amici e secondo me avrebbe dovuto salvaguardarlo per questo, e sua moglie l'avrebbe dovuto incoraggiare a continuare: attraversa le strade, suona per due ore e divertiti con i nostri amici.
Ma chi mi fa più impressione è Apolllo, che non ci prova neanche, perché è inammissibile che un uomo sposato (di 32 anni) abbia altro oltre la moglie e il lavoro. Una moglie che sì, è sempre stata una santa scannacazzi (a differenza della ex punkabbestioa del Nini), ma che lo ha preso così, strambo musicista con la cresta e i piercing. Non comprendo il togliersi di bocca qualcosa di bello solo perché non è socialmente accettato nel tuo ambiente, e tua moglie non te lo perdonerebbe mai. Non capisco perché cambiare perché "è così che si fa". Perché in molti posti non si insegna ai figli a cercare di essere felici e di far felici gli altri. Perché queste mogli non comprendono che non solo non ci perdono, ma ci guadagnano ad avere un marito che va con gli amici di sempre a comporre canzoni in una cantina a pochi metri da casa due volte la settimana, che un marito realizzato e rilassato e divertito è un marito migliore. Mariti che non capiscono che non si deve rinunciare a tutto, perché non è che qualsiasi cosa è sbagliata. Ragazzi che, a trent'anni, sono più vecchi di molti dei nostri genitori...

giovedì 1 marzo 2012

Mai andare alla propria vecchia università

Sentirsi vecchi e nuovi. Passeggiare per la vecchia università, sfiorare i muri, osservare i tabelloni, sentire l'eco dei ragazzi che non riesco a vedere, attraversare i chiostri, i dipartimenti; infilarsi in biblioteca, vedere il luogo in cui ho fatto l'esame di storia moderna abbandonato e brulicante di ragnatele, o il pianerottolo dove con Chicca e Marcellazza ho atteso di fare l'esame di Americano 2, e il sottotetto dove nella canicola ho fatto l'esame di Inglese 1.
Mi sento strana e ho voglia di piangere mentre sorrido. Sento di aver sbagliato, e non tanto perché l'università l'ho lasciata a quattro esami dalla laurea. Rimpiango la mia università. Era bello stare qui, fare parte di questa realtà. Imparare, conoscere persone, girovagare per questi spazi e questa città. Coglierne le opportunità. Conoscere persone così simili o così diverse da me. Rimpianto, e non solo perché avevo 15 anni di meno. Rimpianto perché ho smesso di imparare: continuare a farlo senza insegnanti e compagni non è lo stesso.
Si tratta di un'occasione che è andata. Sento di non aver imparato a sufficienza. Mi dispiaccio perché sarebbe stato bello, 15 anni fa, sapere ciò che so ora, e non fare gli errori che ho commesso, anche se sono loro ad avermi reso la persona che sono, così diversa da ciò che speravo e credevo di diventare.
Mi immaginavo felice in un rapporto di coppia. Guardo le persone che si abbracciano e che costruiscono qualcosa in questa primavera agli inizi. Mi immaginavo professionista realizzata. E invece eccomi qui, con il mio pugno di mosche, senza amore e senza carriera, e chissà quanto di ciò che sono ora è frutto dello sbaglio che feci allora.
Studiare di più, più cose, fare più corsi, andare più a teatro, al cinema, alle mostre. Sapere che è un'occasione che non torna. Esplorare, imparare, leggere e conoscere persone. Io non l'ho fatto, non a sufficienza. Ho tanta nostalgia di allora, di quando ci fermavamo nel corridoi a Sant'Alessandro su quei tavoli bianchi che ora sono vecchi, a chiacchierare e mangiare più che studiare. E in biblioteca, a studiare più che a guardate i libri che c'erano e domandarmi cosa avrei potuto imparare ancora. Gironzolare per baretti invece che ficcarsi nei cinema e nei teatri. Sbragarsi sulle scale della chiesa, rinchiudersi nel bar del tatuato. Non avere il coraggio di fare l'esame di arte moderna. Perdersi nel dipartimento di slavo. Le lezioni piene, arrampicarsi nella 201. Essere giovane coi capelli rossi e un fidanzato innamoratissimo. Non domandarsi nulla, perché forte è il senso di sicurezza. Darei un braccio, per tornare indietro, ed ora, solo ora, lo so.

venerdì 24 febbraio 2012

Sospensione dell'incredulità verso Matt King

George Clooney non vincerà l’Oscar per la sua interpretazione in The Desendants. Un film molto bello e vivo, ma in buona parte grazie alla sceneggiatura e alla forza dei personaggi secondari, tra i quali si distinguono il suocero cattivissimo, la figlia pazzoide, il ragazzino che dice sempe quel che pensa e la cornuta isterica.
Clooney fondamentalmente per tuto il film fa gli occhioni. Il suo personaggio non è infatti particolarmente articolato e alcune sue scelte, anche cruciali, sono incomprensibili. Mi riferisco in particolare al fatto che, al termine del film, decida (non è un vero spoiler, perché quale sarà la scelta finale è evidente sin dall’inizio, lo spettatore non dubita mai che Clooney eciderà in senso ambientalista e morale) di non vendere l’area intoccata che ha ereditato dagli antenati. Non è chiaro se lo decida perché ha scoperto in sè l’amore ecologista, o se lo faccia per rispetto nei confronti degli antenati (spesso il regista Payne insiste sulle fotografie degli antenati di Clooney. Ma non ci è mai spiegato perché e cosa queste immagini vogliano rappresentarci, o come sui relazionino con l’io morale del protagonista), per amore verso i discendenti o solo per ripicca all’amante di sua moglie. Le decisioni che prende non ci sono comprensibili. Le condividiamo, perché umane, è semplice immedesimarsi in un marito che sta perdendo la moglie, non ha un rapporto con le figlie (si suggerisce sia perché lavora troppo) ed è pure cornuto.
La scelta di vedere l’amante, poi di comunicargli che può dare ultimo saluto a sua moglie, infine la decisione di minacciarlo, è molto umana, e lo spettatore non si ferma a riflettere su di essa. Lo farebbero tutti, perciò va bene.

Chi sia Matt, il personaggio di Clooney, non ci è dato capire. Fa cose umane e tenere, come la corsa a perdifiato sino dagli amici di famiglia, o la decisione di tacere al suocero che la figlia aveva un amante e stava per mandare all’aria la famiglia, ma come si evolve Matt, com’era prima della tragedia e come è alla fine, non si sa. Siamo onesti, Matt è sempre una brava persona. Ci fa simpatida sin dalla prima scena. E’ un po’ un benpensante (si veda come affronta i problemi di sua figlia Scotty), ma è un brav’uomo. Anche la primogenita ce lo dice: ha litigato con la mamma perché non reputava corretto che tradisse il papà, così un brav’uomo tutto casa e lavoro.

giovedì 23 febbraio 2012

grazie

Dott.ssa Silvia CASTAGNOLI, Consigliere della Corte di Appello di Roma Presidente

Dottor Giuseppe CRICENTI, Giudice del Tribunale di Roma

Maurizio BUCARELLI, giornalista professionista

Francesco DE VITO, giornalista professionista

Rosaria BRANCATO, giornalista professionista

Giuseppe SPEZZAFERRO, giornalista professionista

Gianluca MORESCO, giornalista professionista

martedì 21 febbraio 2012

Vecchia, ormai

Che sto diventando vecchia è poco ma sicuro e non solo perché ormai ho la rosa della frangia grigia, e non serve più tingere i capelli, o tagliarli. E non solo perché io, da esile com’ero, peso 53 kili che mi sembrano tutti appicicati sui fianchi, ma anche perché gli amici li ho persi per strada e si sa che a mano a mano che si invecchia il nostro mondo diventa più piccolo..
A volte mi stupisco di come se ne sono andate certe persone che credevo uniche ed insostituibili. Gli amici più cari e più vecchi che avevo. Tutti e tre. E non li rimpiango neanche un po’. Ma imparo ogni giorno di più a stare sola, e non per orgoglio. Solamente, perché so che è così che si finisce. Che nessun rapporto è vero sul serio, se la tua migliore amica può tradirti e non chiedere neanche scusa. E tu non senti neppure nulla.
Mi fa strano come dopo aver affrontato assieme quindici e più anni di cammino improvvisamente ci si guardi in faccia e non ci si riconosca. Ciao chi sei? Che vuoi? Ti devo qualcosa? Come improvvisamente si prendono parti che sono avverse a chi ha camminato così a lungo accanto a noi.
Che io sia vecchia è poco ma sicuro, che se guardo indietro metà delle cose che mi sono capitate non le ricordo più. Ricordo che ero sempre di corsa, non mi annoiavo mai, scappavo dalla finestra e la notte era lunga. Ricordo che mi ficcavo in ogni situazione, che era sempre come se non fosse finita. Che studiavo, leggevo, ascoltavo musica e vedevo pochi film, non avevo né il pc né il cellulare e non sapevo che guardare film in lingua o leggere libri in inglese mi avrebbe fatto bene. Non ho pensato all’Erasmus e non andavo a teatro. Non guardavo il telegiornale, non leggevo i quotidiani, odiavo craxi e de micheli, o, meglio, trovavo orribili tutti gli uomini politici. Non facevo sport, coccolavo gatti, un giorno ho preso l’auto e sono andata a milano e allora poi ci andavo sempre, da sola, e non so come ho iniziato. Non so perché i miei genitori mi lasciassero andare ovunque volevo, senza domandare, anzi lo so, si fidavano, e io non mi sono mai cacciata nei guai. Mi dispiace, ora, di aver perso tempo perché avrei potuto imparare di più e mettere in atto un piano. Prima sai cosa vuoi, prima inizierai a farti strada verso di esso. Io ancora non lo so, cosa voglio. Fino a 10 anni fa credevo una serena vita di coppia, poi mi sono accorta che una serena vita di coppia, in astratto, non mi interessa e non esiste. Io volevo una vita di coppia serena felice ed appagante con marcellazza. Marcellazza ha avuto un figlio e io mi sono rifugiata nel mio lavoro, che non ho mai neanche scelto. Mi ci sono trovata. “domani andrai lì e farai questo”. E io: “ah, ok”. E l’ho fatto, e l’ho fatto al meglio che potevo, come cerco di fare con ogni cosa. E poi è finito. Ed ora? Non lo so, e a volte soffermarmi e domandarmelo, ora che sono così vecchia, non so se ha senso e di certo mi confonde.
La mia fissazione quando ero bambina era la parabola dei talenti. E pregavo, pregavo perché i miei non andassero sprecati. E dicevo a dio parlavo a dio di continuo che non volevo perdere il mio talento. E che per non sprecarlo avrei dovuto riconoscerlo. Passati trent’anni, ancora non sono in grado di distinguerlo.

giovedì 16 febbraio 2012

dio mi liberi da daria big-nardi

La proposta di tassare cibi e bevande ritenuti non salutari, per me è semplicemente ridicolo. Quasi quanto la scelta fatta da daria big-nardi a le invasioni barbariche di inviatarte tutti ospiti pro cibo sano e pro tassa e un giornalista conterario, ma obeso, come a dimostrare che vedi, se sei per il libero arbitrio alimentare sei un ciccione di merda, e così affaticato nel respirare (certamente il tipo è anche tabagista) da non riuscire nemmeno a dare ciorpo a un intervento, da tanta è l'ipoventilazione.
Io sono la prova che non è vero che il cibo spazzatura fa ingrassare. Non mangio quasi la carne, è vero, e la pizza non mi piace, però mi nutro quasi esclusivamente di merendine e nutella da 37 anni, e bevo solo roba frizzante, meglio se con caffeina e zuccheri al suo interno. sono l'incubo di ogni jamie oliver. Invecchiando, sono ingrassata. Peso 50 kili. la mia salute è buona. e se certa gente può andare in televisione e sostenere che "le bibite zuccherinose fanno male e CAUSANO LA MORTE" (è stato detto proprio così: di cocacola si muore!), senza portare alcun dato se non l'autorevolezza con cui la frase è pronunciata, allora anche io posso fare lo stesso, e sostenere che le sostanze ricche di zuccheri danno felicità e d energia. venitemi a dire che non posso.
concordo sul fatto che il mondo è pieno di ciccioni, e che i bambini ciccioni sono uno spettacolo indecente, ma penso anche che non si possa dare al cibo ogni responsabilità, dato che sono una convinta assertrice della necessità di fare attività fisica, sia per motivi di salute che di umore che di socializzazione. non solo, soprattutto credo che uno stato dovrebbe, prima di preoccuparsi di tassare il cibo che reputa essere spazzatura - sempre da decidersi in base a quale clisma: il foie gras non è esattamente salutare. sarà tassato? - non si preoccupi del fatto che mi viene fatta mangiare carne piena di estrogeni, che mi sono propinati verdure e cereali manipolati geneticamente, che non mi è permesso conoscere l'origine esatta di ciò che acquisto e che mi viene riservata un'aria e un'acqua zozzissime, con Pm10 alle stelle l'una, e zeppa di arsenico l'altra. quindi. inizi lo stato a fare il suo dovere prima di comportarsi nei miei confronti come se non fossi in grado di intendere o di volere.
credo nella libertà individuale, nel diritto di farsi un gigantesco donuts con la crema senza doverci pagare una tassa sopra, di mangiare ciò che voglio perché so cosa sto facendo, e di non fare inutili doppigiochi come nel caso del fumo o dell'alcool, che continuano ad essere sul mercato e a venir venduti anche ai minorenni, con prezzi, soprattutto per le sigarette, in continuo aumento (perché ci colpiscono là dove siamo drogati). gli introiti saranno dirottati sull'orchestra verdi, e forse per pagare i pasti al l ristorante di palazzo madama. ma è certo che l'aumento dei prezzi delle mie merit non è finalizzato con tassa di scopo a aumentare i fondi da disposizione della sanità.
dio mi liberi in primo luogo dai giornalisti che non sanno fare il loro dovere, che portano schiere di esperti che la pensano tutti allo stesso modo, che non chiedono mai uno straccio di dato a giustificazione di ciò che si sta sostenendo, che fanno terrorismo, che promuovono modi di vivere sani senza preoccuparsi del fatto che vivere sani mentre dal cielo piove schittone trova un po' il tempo che trova. dio mi liberi da soluzioni parziali, da pensieri fascisti, da chi vuole gestire la mia vita e ridurmi all'impotenza. io sono comunista, ma i miei simili non mi vogliono, perché sono individualista. e il diritto all'individualismo è quello che, sempre, mi guida.

sabato 11 febbraio 2012

podoni

quando ho visto golia alle iene bistarattare un pedofilo - che al momento era presunto tale - e incalzarlo, umiliarlo, con un senso di superiorità e di giustizialismo così evidente da essermi fastidioso, ho litigato con tutti i tweetters che stavano dando il loro parere sulla questione.
perché quando le iene si occupa dei pedofili, le reazioni sono sempre e solo "ammazziamoli" e "che schifo" e "li voglio ammazzare di botte". forse è per questo che ogni 4 mesi circa le iene ripropone il peschetto ai pedofili, che un mio amico da bambino chiamava "i podoni".
i podoni sono facili da fregare. sono come i tossici. te sventola sotto al naso del tossivo una dose e fa quello che vuoi. il podone non capisce un'acca quando intravede la possibilità di stare in una stanza con un bambino, e da coglione cade in tutte le fregature che le iene gli piazza sotto il naso. zaac,
preda facile, il podone. e fa audience. suscita indignazione. golia passa per l'eroe e il popolo italiano grida alla lapidazione. io accetterei il tutto se fosse robba à la fede. viziata in modo evidente.
quel che mi fa incazzare e mi porta a litigare con mezza italia e a scriverci pure un post è lo stile con cui le iene si approccia al fatto. con quest'aria ecco, lo facciamo noi, ci sostituiamo alla giustizia.
che manco so se è legale che tu ti metti on line e ti fingi un venditore di bambini e ti avventi poi sul podone e lo porti ai carabinieri. ma al di là di questo. io credo che le iene in questi servizi in primo luogo non aiuti a capire e quindi porti chi vede il programma a dire "ammazziamoli". che a me "ammazziamoli" fa incacchiare sempre, perché credo nella pena e nella riabilitazione. e che se ammazzi chi ha commesso un reato, sei peggio di lui. e a chi è peggio di uno che per te ha meritato la morte che fai? gli ammazzi i figli? ecco.
golia forse manco lo sa che a volte i pedofili non fanno le cose orrende che chi dice "ammazzali" evidentemente immagina. da quel che so io la maggior parte delle volte li toccano, o si toccano davanti a loro. di certo non è che li stuprano infilando loro bottiglie negli orifizi liberi. il pedofilo di solito pensa di dimostrare amore al malcapitato bambino e spesso è stato vittima degli stessi abusi che ora infligge; ha una visione distortissima del rapporto adulto bambino.
che poi, cos'è un bambino? quando avevo 13 anni avevo compagne che non erano vergini più manco nel culo, e non mi sembravano sotto scioc (magari abusate sì, ma in un altro modo) per questo.
io non voglio, sia chiaro, difendere il pedofilo. penso però che le iene metta la spettacolarizzazione a fronte di tutto: peggio di chi abusa del bambino, a volte solo leccandogli gli alluci, ci sono i genitori che questi bambini vendono. o i parenti che se li scopano, i bambini, e che le iene non scopriranno mai, perché questi la materia prima ce l'hanno bella che in casa, non devono mica cercare annunci (finti, delle iene) sul web per trovare la preda.
In italia i reati legati alla pedofilia sono un centesimo rispetto le violenze domestiche, gli stupri, i furti, le evasioni fiscali. se le iene vuol fare giustizia e portare moralità in italia, e non fare audience e basta, magari dovrebbe dedicarsi di più a questi crimini, che ci sono più vicini e che magari abbiamo commesso anche noi stessi. e che, proprio perché ci sono così familiari, non ci portano a dire "ammazziamo il colpevole". il giustizialismo fa paura, perché non porta a capire. una condanna giusta è legata alla comprensione.
e un'ultima cosa, agli uomini che dei podoni dicono "ammazziamoli". quando voi smetterete di imporre, anche in modo soft, alle donne di fare qualcosa, potrete dire "ammazziamoli". solo chi non ha mai preso la nuca di una donna e l'ha spinta verso il proprio uccello, senza chiedersi perché spingere lì una testa che, se è davvero consenziente, ci va da sola, solo chi non ha deciso lui i come e i quando e i per quanto tempo di un rapporto sessuale, imponendo una posizione, una cosa da dire, un luogo in cui farlo, il momento in cui i preliminari finivano, o se non c'erano le coccole del dopo sesso, potrà giudicare. ma lo fate, lo fate tutti, e per noi sono solo macchioline. piccole macchioline su un vetro. alla fine sono così tante che non le notiamo neanche più. piccoli soprusi legati al nostro essere femmine, cioè al fatto di non poter mai comandare o decidere apertamente, non fosse altro che siamo più minute e meno forti di voi. piccole macchie, cose che abbiamo subito. cazzi che abbiamo preso in bocca quando non ne avevamo voglia. preliminari cui abbiamo rinunciato senza neanche si aprisse una discussione a riguardo. verginità perse a 13 anni, eventi riguardo i quali ricordiamo di essere state consenzienti, posizioni che non ci piacciono che abbiamo sopportato. scopate in luoghi scomodi o freddi o pericolosi. cose che ci avete fatto fare perché siamo più deboli. ammazzatevi.

sabato 4 febbraio 2012

c'è il kite surf

la cosa-di-monti-e-della-monotonia mi ha molto sconcertato. e mi trovo spesso a bisticciare con ragazzi più giovani di me a riguardo.
sono stufa di nonno monti sempre in tv e che lui che parla contro la monotonia è come sentire vittorio sgarbi che inneggia alla calma.
capisco, è ovvio, che i professionisti, le partite iva, gli imprenditori, i superspecialisti o chi apparetiene a un ordine professionale sia soggetto a maggiore precarietà. vendi una professionalità, ti assumni il rischio di impresa, chiedi cifre adeguate in cui sia compreso anche l'asicurazione privata e il pagamento delle ferie di luglio, va bene così. ma michiedo perché un operaio generico debba essere fuori dalla monotonia, precarizzato, incerto, senza contributi e ricattabile. che se si sindacalizza o protesta lo si caccia, che se si ammala o resta incinta finisce a casa. perché si debbano assumere precari a tempo a ricoprire posti stabili. se quel posto c'è, quella figura professionale ti serve, perché non assumni qualcuno per sempre? perché sfrutti proprio il fatto che per ambire a quel posto non serve specializzazione per andare di turn over e ricattare e non pagare i contibuti dovuti? perché poi pianti a casa la gente e questa, dato che tu i contributi non li hai versati, è a carico dello stato? perché io che per fare un lavoro da 1800 euro sono stata pagata 900 e senza contributi e mo' lo stato mi deve aiutare? perché c'è chi si arricchisce e chi fa il furbo e chi fa la figura dell'idiota?

monotonia è anche uscire di casa, avere un'automobile, farsi una famiglia. io a 37 anni non ho nulla di tutto ciò, sto in affitto con difficoltà, l'auto me l'ha regalata mia madre e non ho famiglia. né potrei. non so dove sarò domani. da un giorno all'altro mi piantano a casa e ho uno stipendio così basso (i mestieri cosiddetti creativi pigliano poco e un cazzo, sappiatelo) che non metto nulla da parte. bello il brivido del mistero di vivere giorno per giorno, nonno mario, ma poi non chiamatemi bambocciona.

lo stato non deve essere servo di chi dà lavoro. non devo dire grazie perché mi fanno lavorare, al parossismo del marxismo più becero, dove l'operaio non solo è alienato dai mezzi di produzione, ma dal lavoro stesso, quasi fosse un impiccio. e poi si dice: si deve aumentare lo stato sociale e aiutare chi il lavoro non l'ha, chi è precarizzato, chi i contributi non li ha.

ma che stiamo dicendo?

l'azienda deve pagare i contributi. l'azienda deve consentire una vita dignitosa. l'azienda ti assume a posto fisso, se quel ruolo serve in via definitiva. non è lo stato che deve farsi carico dei nostri diritti. perché, per "far crescere l'economia" chi dà da lavorare ormai può fare tutto ciò che vuole? la cassa integrazione alla sottoscritta a pagate tutti. e perché? perché il mio datore di lavoro non ha fatto ciò che doveva. il sistema è malato, l'articolo 18 va mantenuto e le assuinzioni a progetto vanno limitate ai casi in cui siamno realmente necessarie e contestualizzate, perché che una fabbrica reparto gommaplastica assuma operai ggenerici a progetto, onestamente, dovrebbe farvi ridere tutti.
e per le emozioni forte, c'è il kite surf.

venerdì 3 febbraio 2012

fissare il vuoto

Lo stupore e' il constatare, guardandomi al di sotto della coltre di ghiaccio, che sono distaccata da tutto, come se non fossi io che lunedì pago l'affitto o che passo il pomeriggio di oggi sul divano rosso imbacuccata sotto la coperta.
Sto qui, lavori da fare ne ho, soldi affatto, c'e' pure la macchina forzata e il gatto col raffreddore. C'e' la voce interiore che mi dice: cercavorocazzo!! E anche l'incredulita' di constatare che ad aprile ho firmato un contratto di lavoro, ma la mia azienda ha deciso che se ne fotte, e se voglio 800 euro al mese di cassa integrazione devo ritirare la causa che ho intentato. Per avere cio' che mi spetta, devo rinunciare ad altri diritti, e per questo risultato non devo ringraziare solo l'azienda, ma anche il sindacato lombarda dei giornalisti che, mentre pretendevo il rispetto di quanto avevo firmato, mi prendeva alla leggera per dare corda alla mia collega sciocca e al suo delirare "mi devono 220 mila euro".
Tutto passa sopra. Sono impotente e ogni tentativo di muovere un passo mi pare inutile, infatti se potessi mi Scaverei un rifugio, da cui aspettare che la glaciazione passi. Ma non si puo'

martedì 24 gennaio 2012

il caffe' e la gente

Il problema e' che non so fare il caffè'. Non avevo nemmeno la caffettiera quel giorno che
Elo ha deciso di venire nel titanic a berne uno e gia' che c'era me ne ha regalata una.
Blu. Il blu e' un bel colore ma a casa mia e' supervietato.
Fattosta' che voglio un caffè'.
Ma non ne ho. Un tempo matte mi aveva insegnato a tenerne in frigo un po', ma ho smesso
E tanto comunque sa sempre di ferro, il mio caffè'. C'e' quello solubile che beve il conte
Ma a me il caffè' piace molto dolce e in ogni caso e' evidente che non so fare neppure quello
Solubile.
Sto con i piedi sulla sedia a distruggermi i polpacci, il mal di testa per il vento (che mi fa paura)
La mancanza di sonno (per il nervosismo) e il rumore della goccia nel lavello e dovrei studiare e guarire
Il gatto con il raffreddore pulire il pavimento scrivere altri articoli imbottire un pomodoro
Cercare lavoro adeguarmi al cambiamento e liberarmene.
Invece consiglio a chi ama scrivere ma non e' costante blogdellagente.blogspot.com

lunedì 23 gennaio 2012

il trumbé che non lavora

a volte c'è lo sgomento. quando dici che per marzo un lavoro lo avrai, e vedi che il tuo interlocutore crede di no. quando la giornata davanti a te è lunga, ma la butti via tutta, anche perché il pc scaccione che ti trovi sottomano va a 36 k (grazie vodassssfone station) e non ti permette - boycott? - di iscriverti alle offerte di infojobs, mentre tutto ciò che avevi, da cv a pezzi già scritti a fotografie private di lavoro e mail è rinchiuso nello scrigno di calypso del mac del lavoro cui per sbaglio e senza accorgerti hai cambiato la password, e che quindi non sai più aprire. a volte pare davvero che tutto sia qui per scoraggiarci (come il lavabo che perde da venerdì, ed è lunedì). ho tanta voglia di piangermi addosso, ora che non ho più un lavoro e che il mio capo non si è neanche disturbato di dirmelo, ma a che serve? cerchiamo soluzioni, come in csi.

venerdì 20 gennaio 2012

fantasia

Il bello di fare sesso immaginario con robbbbert downing jr e che non ha l'alitosi mattutina

giovedì 12 gennaio 2012

frase #1

frasi del capitano, 2005.
(brandendo un pennarello) : cala la braga

mercoledì 11 gennaio 2012

dieci persone uguali

a me non interessa essere una brava persona. non sono stata educata nel credo della mezza misura, del tacere per educazione, della sopportazione per raggiungere la santità. se di norma taccio, è perché non me ne importa un fico secco della persona che ho davanti, diversamente sbotto.
sbotto con le persone che stimo e che mi piacciono, quando reputo sbaglino (e poi dopo che ho parlato, e sono stata capita e c'è stato un confronto, mi dispiace e mi spertico in scuse, perché ovviamente una volta che la faccenda è risolta non esiste più alcun problema), e con le persone che non posso soffrire, in particolar modo con chi si allarga e viene nel mio giardino a sentenziare sui fatti miei, spesso accompagnando il tutto da una buona dose di affermazioni buttate lì come se fossero clausole o vincoli e non c'entrano nulla con la mia persona.
odio chi di fronte a una mia preoccupazione dice "che vuoi che sia". va bene sminuire, ma farlo con intelligenza e pertinenza sarebbe consigliabile. persino la mia ai tempi migliore amica disse "non sono veri problemi" di fronte alla mia disperazione per un litigio con il mio amico più caro. da allora, ella non è più la mia migliore amica.
odio chi dice "tu sei così" e con me non ha mai mangiato una volta, o fatto un viaggio in auto, o con me non ha mai fatto la spesa e manco sa come si chiama il mio gatto.
odio chi applica i suoi metodi di giudizio, che normalmente sono sempliciotti del tipo "Ti sei sposata??" (no, e in ogni cado se non ti sento da un anno il mio eventuale matrimonio non rientra nella top five delle cose che reputo sia necessario sapere di me come FATTI CHE MI HANNO SCONVOLTO LA VITA) su di me, dimostrando ancora una volta di non conoscermi.
io capisco, ovviamene, che nessuno, neanche chi mi è accanto da tanto tempo, può saper tutto di me, ma chiedo solo apertura mentale, la capacità di guardare in là e comprendere che non siamo tutti uguali e che se ci sono dieci persone identiche tra loro, non è detto che io sia l'undicesima.

venerdì 6 gennaio 2012

i propositi (buoni?)

non abbiamo perso tanto tempo a meditare sui propositi per il 2012, io e gli amici che a san silvestro in pigiama abbiamo giocato a giochi da tavolo bevendo una mefitica mistura jack daniel's e coca, tanto io sono e sarò tutta tesa a cercare un lavoro (il mio amico elo dice che lo faccio a fare, tanto a dicembre il mondo finisce. ma io a dicembre vorrei arrivarci con una casa e la pancia piena), inviando curricula a raffica un po' a chiunque, tipo persino alla caleffi e alla toyota in un confuso raptus di "invia" "invia" "invia".
sta diventando tipo un gesto meccanico e io al momento, dal basso delle mie ferie non retribuite (come il lavoro, tra l'altro) mi sono rilassata: stare lontani dalla paranoia dell'uficio porta un torpore da fumatore d'oppio e un perenne voler stallare in posizione distesa.
non ho più curiosità vera per il futuro, una cosa del tipo "arriverà un uomo moro" o "la tua amica che ti disprezza ti inviterà a fare shopping" (perché c'è crisi, sarà la ragione che addurrà poche righe sotto, in mail) "un martedì o un mercoledì se il bimbo non si ammala di nuovo". alla fine, nulla cambia mai davvero, everything is exactly the same (cantano i NIN). però devo ammettere che un "cosa capiterà nella prossima puntata" piuttosto generico, come quando guardi una serie che non ti piace del tutto ma non ti fa neppure orrore, lo provo.
oggi, tra l'altro, è il giorno dell'invasione dei dalek