venerdì 16 marzo 2012

Amiche e nemiche sono per sempre

Sì in effetti in molti dicono che io odio il Biondo Topo della mia Infanzia. Ma ora che ci penso, no, non è affatto così. Il Biondo Topo della mia Infanzia infatti mi è del tutto indifferente. O, meglio, ho un interesse verso di lei perché mi pare così vincente. Il Biondo Topo della mia Infanzia; infatti non è molto intelligente, decisamente più scema che intelligente. E' bruttina, ma molto snella, e si è applicata con cura a diventare bionda, a rendere la sua magrezza un sinonimo di sciccheria e ogni giorno si trucca giudiziosamente. Spende credo ogni suo avere in abiti. ma in realtà il Biondo Topo della mia Infanzia è ricca, e ha sposato un ricco. e ha studiato con fatica allo scientifico e po a un corso parauniversitario, e ha aperto un negozio dove vende cose costose, e dove fondamentalmente lavorano i dipendenti, mentre lei trascorre il tempo al bar accanto. non ha avuto una vita folgorante. pochi interessi, sin da piccola si è innamorata di uno che forse non la reputa poi degna di particolare interesse, ma che intanto l'ha sposata, ha comprato casa in centro, ha fatto una figlia bambolottolosa uguale spiccicata al marito con l sguardo porcino, e conduce la sua vita così. in breve tempo, però, il Biondo Topo della mia Infanzia è divenuta una autorità nel commercio locale ed ha ottenuto il rispetto della politica. ed è qui che io ho di nuovo a che fare con ella. e mi fermo a meditare su di lei. Non la odio, ma non solo, non l'ho mai odiata. L'invidio in modo placido, perché credo non si possa un po' invidiare una che ha avuto tutto, o, meglio, tutto ciò che ella voleva (a volte il grado di realizzazione è proporzionale al desiderata e non all'ottenuto), e che pare la vita abbia risparmiato dai dolori e dalle delusioni. Poi si fa in fretta a giudicare se non si sa. Io la mia vita, per quanto sconclusionata e senza scopo, non la scambierei con la sua, però con una vita senza dolori sì, anche se "i dolori formano".
Ci penso e mi dico: io mica la odiavo. Io odiavo il sistema attorno a lei. Odiavo il fatto che il Biondo Topo della mia Infanzia, che pure da dodicenne sfigata nasona con l'apparecchio e i collant color carne, sapevo riconoscere come una tonta senza carisma con la facia i capelli e gli occhi da topo, fosse dal resto del gruppo vista come il leader. Non comprendevo perché due terzi della mia classe la guardasse adorante. Ci si rivolgeva al Biondo Topo della mia Infanzia (che aveva due strategie di azione: o restare basita con fare intelleggibile, o copiare idee e soluzioni altrui, anche, ma non solo, mie) per ogni questione. Ella era la somma autorità culturale, morale ed emotiva della classe. E io a pensare: ma che ci trovano? Sono passati vent'anni e me lo chiedo ancora. in realtà non è che io avessi un problema con la figura carismatica. No. Certo, mi vanto di poter considerare che non mi facevo imbelinare. Nel gruppo di cui io facevo parte, la guida spirituale era Annarosa, che non so perché fosse stata assurta a questo ruolo, dato che pure lei era piatta come la pianura, senza sogni, aspirazioni o anche solo un afflato di vita. Era gentile con tutti, ma non credo fosse sufficiente per assoggettarsi al suo voler. Io mi assoggettavo, ovviamente. Facevo parte di un gruppo che la osannava come una madonna. Io non la osannavo ma seguivo il gruppo, facevo, direi, una azione non violenta. Lo sapevo, anche da ragazzetta, che io non avrei comandato un bel nulla, perché ho un carattere spigoloso e troppo anticonvenzionale perché chicchessia si affidi a me,. Allo stesso modo, però, sono troppo anticonvenzionale da poter apprezzare di ubbedire davvero ad un'Annarosa.
Poi alla fine io una guida l'ho trovata. Avevo 14 anni. La Baiguer era mediamente intelligente. Non un genio. Intelligente come o poco più di me. Non bella, ma neppure brutta. Con una goffaggine di fondo che si svelava nella sua eccessiva altezza,nei fianchi larghi cui non corrispondeva un seno adeguato, nei vestiti "sbagliati", come erano sbagliati i miei. Lei portava le felpe con il colletto da bambina e i jeans che andavan giù dritti. La Baiguer non aveva chissà quale interessi. Non è che leggesse, ero io che leggevo. Non è che ascoltasse la musica più ricercata, lei cantava Sciogli le trecce e i cavalli. Non era alla moda, né ricca. Era anche la più brava della classe. Era gentile, ma quando una cosa non le andava non è che facesse finta di nulla. La Baiguer era spiritosa. A volte in un modo paesano, bresciano, di cui però era consapevole, e scherzava anche su quello. Il suo umorismo era paradossale, e non so ora dire se è da lì che ho mutuato il mio, o se avessi già quello stile e semplicemente mi fossi ritrovata in lei. Dove siamo finiti tutti? Come? Annarosa ha figliato in abbondanza, e il marito non c'è mai. Biondo Topo della mia Infanzia ha la sua vita Beverly. E credo che anche Baiguer sia serena, l'ultima volta che l'ho vista stava per sposare un farmacista. Io e la mia pretesa di essere atipica, beh, siamo qui, a fare le adolescenti.

giovedì 8 marzo 2012

Marriage kills your souls

La notizia è che il Nini ha lasciato il gruppo. Ci resto male, bnon mi stupisco, sono sollevata. Come quando una persona malata terminale da tanto tempo muore. Una parte di noi ci dice che almeno è finita. Pensare al gruppo senza il Nini per me ha poco senso, ma non c'era mai e è meglio così, come sollevarsi da un problema che non ha soluzioni.
A pranzo il Gio' ribadisce che è meglio così, che se non trovava tempo per andare alle prove, questa è la scelta giusta per tutti.
Gio' ha chiesto a Apollo se voleva suonare al posto del Nini. Apollo ha spiegato che ora è sposato: non può mica uscire troppo di frequente, meno che mai fare le serate, magari addirittura lontano da casa. Questo nonostante che lui e sua moglie siano in compagnia con tutta la band e le fidanzate dei loro componenti.
Il Gio', per temperamento, accetta, non discute, fa spallucce e dice che gli dispiace, ma va bene così, che non sta a lui mettere in discussione le scelte altrui.
Io mi soffermo a meditar. Si cambia d accade per molte ragioni. Non mi aspetto che i ragazzi siano gli stesi di quando li ho conosciuti, 11 anni fa. Però penso che le strutture sociali schiacciano molto spesso le persone, soprattutto quelle il cui orizzonte è imitato, che hanno un'esperienza di vita più raccolta. Qui nelle disperate lande del sud della Padania, il matrimonio comporta per molti un cambiamento nello stile di vita. Se ti sposi devi "metter giudizio", il che comporta non uscire più di casa, se non per la Festa della Donna o il raduno annuale della tua classe. Per il resto, si esce solo con tuta la famiglia, il che comporta una vita sociale sempre più sterile, perché dove vai con tutta la famiglia e poi non vorrai mica frequentare quei senza dio dei tuoi amici di quando eri scapolo, e alla fine si finisce nel baratro televisione pannolino nanna. Immagino che a molti piaccia e non voglio mettere in discussione le loro scelte di vita. io ne ho fatte altre, o il caso le ha fatte per me, e non accetto di sicuro che la mia amica che ha figliato mi venga a dire _e come sapete lo ha fatto _ che sono una ragazzetta immatura perché i miei lombi non hanno dato alla luce eredi. Quindi non lo dirò. Ma dirò che se la scelta è imposta dall'esterno, da convenzioni sociali, da mariti ossessivi o da mogli castranti, mi annichilisce. Sappiamo tutti che Nini era un pazzo che avrebbe messo su famiglia e sarebbe invecchiato facendo l'orto ed insegnato ai suoi figli ad andare in bici, come credo suo padre abbia fatto prima di lui. Se bon andava alle prove era in primo luogo per pigrizia. Il suo senso di responsabilità gli dice che deve stare a casa con sua moglie e i bambini, ma non credo che a casa si metta all'opera per cucinare o pulire o occuparsi di figli così piccoli che per le nove, orario prove, sono già addormentati. Il gruppo era per lui l'unica occasione di continuare a vedere gli amici e secondo me avrebbe dovuto salvaguardarlo per questo, e sua moglie l'avrebbe dovuto incoraggiare a continuare: attraversa le strade, suona per due ore e divertiti con i nostri amici.
Ma chi mi fa più impressione è Apolllo, che non ci prova neanche, perché è inammissibile che un uomo sposato (di 32 anni) abbia altro oltre la moglie e il lavoro. Una moglie che sì, è sempre stata una santa scannacazzi (a differenza della ex punkabbestioa del Nini), ma che lo ha preso così, strambo musicista con la cresta e i piercing. Non comprendo il togliersi di bocca qualcosa di bello solo perché non è socialmente accettato nel tuo ambiente, e tua moglie non te lo perdonerebbe mai. Non capisco perché cambiare perché "è così che si fa". Perché in molti posti non si insegna ai figli a cercare di essere felici e di far felici gli altri. Perché queste mogli non comprendono che non solo non ci perdono, ma ci guadagnano ad avere un marito che va con gli amici di sempre a comporre canzoni in una cantina a pochi metri da casa due volte la settimana, che un marito realizzato e rilassato e divertito è un marito migliore. Mariti che non capiscono che non si deve rinunciare a tutto, perché non è che qualsiasi cosa è sbagliata. Ragazzi che, a trent'anni, sono più vecchi di molti dei nostri genitori...

giovedì 1 marzo 2012

Mai andare alla propria vecchia università

Sentirsi vecchi e nuovi. Passeggiare per la vecchia università, sfiorare i muri, osservare i tabelloni, sentire l'eco dei ragazzi che non riesco a vedere, attraversare i chiostri, i dipartimenti; infilarsi in biblioteca, vedere il luogo in cui ho fatto l'esame di storia moderna abbandonato e brulicante di ragnatele, o il pianerottolo dove con Chicca e Marcellazza ho atteso di fare l'esame di Americano 2, e il sottotetto dove nella canicola ho fatto l'esame di Inglese 1.
Mi sento strana e ho voglia di piangere mentre sorrido. Sento di aver sbagliato, e non tanto perché l'università l'ho lasciata a quattro esami dalla laurea. Rimpiango la mia università. Era bello stare qui, fare parte di questa realtà. Imparare, conoscere persone, girovagare per questi spazi e questa città. Coglierne le opportunità. Conoscere persone così simili o così diverse da me. Rimpianto, e non solo perché avevo 15 anni di meno. Rimpianto perché ho smesso di imparare: continuare a farlo senza insegnanti e compagni non è lo stesso.
Si tratta di un'occasione che è andata. Sento di non aver imparato a sufficienza. Mi dispiaccio perché sarebbe stato bello, 15 anni fa, sapere ciò che so ora, e non fare gli errori che ho commesso, anche se sono loro ad avermi reso la persona che sono, così diversa da ciò che speravo e credevo di diventare.
Mi immaginavo felice in un rapporto di coppia. Guardo le persone che si abbracciano e che costruiscono qualcosa in questa primavera agli inizi. Mi immaginavo professionista realizzata. E invece eccomi qui, con il mio pugno di mosche, senza amore e senza carriera, e chissà quanto di ciò che sono ora è frutto dello sbaglio che feci allora.
Studiare di più, più cose, fare più corsi, andare più a teatro, al cinema, alle mostre. Sapere che è un'occasione che non torna. Esplorare, imparare, leggere e conoscere persone. Io non l'ho fatto, non a sufficienza. Ho tanta nostalgia di allora, di quando ci fermavamo nel corridoi a Sant'Alessandro su quei tavoli bianchi che ora sono vecchi, a chiacchierare e mangiare più che studiare. E in biblioteca, a studiare più che a guardate i libri che c'erano e domandarmi cosa avrei potuto imparare ancora. Gironzolare per baretti invece che ficcarsi nei cinema e nei teatri. Sbragarsi sulle scale della chiesa, rinchiudersi nel bar del tatuato. Non avere il coraggio di fare l'esame di arte moderna. Perdersi nel dipartimento di slavo. Le lezioni piene, arrampicarsi nella 201. Essere giovane coi capelli rossi e un fidanzato innamoratissimo. Non domandarsi nulla, perché forte è il senso di sicurezza. Darei un braccio, per tornare indietro, ed ora, solo ora, lo so.