venerdì 13 luglio 2012

odiando i milanesi finticolti e guardando il sosia di carmelo bene

Ho smesso di ridere della gente che fa le pernacchie quando andavo nei mezzani alla scuola materna. Per questo non solo mi sfugge il significato, ma mi irrita, pure, quando tutto il teatro Parenti si spetascia per almeno cinque minuti nel vedere una tizia in abiti farsescamente seicenteschi che simula un attacco di scoregge. Non pensavo che recarmi a vedere “Amleto. Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche.” di e con Filippo Timi sarebbe equivalso a visionare uno spettacolo di Bombolo. E tra l’altro regista e attori sembrano saperlo bene, che ci stanno propinando Bombolo, e ridono di noi. Perché alla fine miei cari milanesi bene che a luglio andate al Parenti – badate bene non a teatro, a un teatro piccino come il Leonardo o il Teatro I o L’Officina, ma IL PARENTI, tutto stampato con le lettere cicciotte, come L’ELFO PUCCINI o IL PICCOLO, per dire – voi volete le scoregge di Bombolo. E ridete a crepapelle quando Timi dice BANANA (anche qui, lette tutte alte). Vi fa scompisciare che lo stesso sketch sia ripetuto alla nausea, come quando Luca Pignagnoli dal proscenio chiama Timi. “Principe!”, fa. Ma Amleto non vuole parlargli e dice di star dormendo. Questi si ostina “Principe!”, fa. E Timi fa una faccia, come a dire, “non sono io”. Ed è buffo, e naturale. Si ride. Ma la scena fa rewind per circa quindici volte. Per quindici, venti volte “Principe!” e faccia distaccata di Timi. Quindici, venti volte. E voi ridete a crepapelle. Ma signori, sono cose che fan ridere i bambini duenni quando fate loro le facce nascondendovi dietro le mani. Perché “Amleto” non è brutto. Costumi e scenografia sono spettacolari, opulenti, non ci si stanca di guardarli. La prima scena di Timi è un quadro fiammingo, con lui – identico a Carmelo Bene - sul trono vestito da matrona, una versione infiocchettata e nera dell’abito di regina Elisabetta I con una donna a seno nudo riversa in grembo, che sembra così piccina e fragile e un uomo, come nelle stampe di fauni, a profilargli la seduta. “Amleto” lavora per lo più di dissociazione. Come nella tragedia originale (ma quanti di voi, milanesi ridanciani, l’ha colto? Quanti, piuttosto, hanno mai letto “Amleto”?) i richiami metateatrali sono numerosi, ancor di più si rincorrono e Timi non smette mai di ricordare che lui è Timi (balbetta anche un pezzo di monologo) e che è un quarantenne cresciuto a Puffi e Intillimani. Ci porta Vicky il robot, i puffi, Pinocchio (che parla fiorentino), le palle strobo da discoteca, “Dirty Dancing” (“nessuno mette BAMBI in un angolo”) e gli Intillimani. Gli attori sono magnetici. Timi non solo è sexy e bellissimo, ma anche le attrici, in particolare Mascino e Rocco sono magnetiche e riescono anche a rubargli la scena. Cosa che lui si lascia fare, e se ne scompiscia e improvvisa. Ma poi una battuta riesce e allora la si ripete sino al parossismo, senza però arrivare all’obiettivo di svuotarla di senso , perché il pubblico invece sghignazza e continua ad apprezzare, e ne vuole sempre più; intanto la tecnica diventa talmente prevedibile da irritare. Che quando Geltrude dirà ad Amleto di andarsene gli farà quella faccia lì, che le viene così bene che.. perché non rifarla? Perché non farla di nuovo? Perché non farla ancora..? E voi, milanesi, a sghignazzare. Voi non distinguete le parti inventate di sana pianta da quelle della tragedia vera, quando Amleto insulta Ofelia o parla dei maiali che scopano e del culo di Geltrude, fate “oooh” scandalizzati senza sapere che queste sono cose di Shakespeare. Quando Amleto dice che “la vita è una canzonetta stupida” non riconoscete la trasposizione. Quando dice ”ecco il monologo di Ofelia, di nuovo!”, voi non capite. Forse neanche la battuta “Adesso ammazza Polonio dietro l’arazzo” vi è chiara. Poi ci sono siparietti che non c’entrano, che vogliono caricarsi di simbolismo ma che sembrano solo piantati per dare alle due attrici più brave la possibilità di un solo che nulla c’entra. Con Marina Rocco che rifà forse la Monroe e parla delle difficoltà di trovare parcheggio e Lucia Mascino praticamente nuda che dice che volveva fare la scienziata. Bravissime, carismatiche, ma quindi? E ancor più assurdo è, infine, quando il registro farsesco viene abbandonato e quella favola raccontata da un idiota che è lo spettacolo diventa seria. Succede due volte. La prima è all’inizio, a sipario giù, mentre Timi fa uno scombinato monologo sull’odio che mangia se stesso e bla bla bla, la seconda volta, molto stridente visto che prima e dopo gli attori erano farsescamente in delirio, è quando Ofelia, che tra l’altro non è manco interpretata da ‘sta grande attrice, fa un monologo sfiancante sulla morte per acqua, sul peso dell’acqua, su mascelle spappolate e ossa schiantate e se l’acqua fosse amore, ahimé, muoio. “E muori”. Io per tutto il tempo speravo che Amleto, che, dopo averla sfottuta per un’ora, la sorreggeva adesso tra le braccia, le assestasse un calcio bello dritto e la buttasse giù dal palchetto. Parlar troppo – è noto – è un fronzolo esteriore.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

applausi a scena aperta. A te.
paola

Anonimo ha detto...

per quanto in parte concordi con te, il tuo sdegno verso i milanesi mi sembra supponente quanto esagerato. io l'amleto lo conosco, e come. ed ho perfettamente colto ciò di cui tu parli. ma nonostante ciò ho anche riso delle scoregge di lucia mascino. perché non si può essere ostinatamente puristi. perché il teatro, talvolta, può anche dissacrare. e può farlo anche in modo banale, se mosso da una buona dose di astuzia e cinismo.

mimma ha detto...

posso salire sul tuo carro ora?

robifinizio ha detto...

scommetto che eri quella che, parlando al telefono nel foyer, cercavi di scoprire e riferire (chissà a chi poi) l'orrido spettacolo che avevi visto, cercando di capire i nomi di chi avesse partecipato a questo obrobio...beh a volte capita che ci siano, in un sala di 400 cervelli, persone che non arrivino a capire il senso di ciò che hanno visto (di solito capita con le barzellette però)...provo davvero tanta compassione per te e per la tua cultura elevata...grazie ad internet ormai ogni persona può scrivere ciò che vuole...fa piacere che di persone come te ce ne siano poche...ti consiglio "giornalista" di spegnere il computer e di andare più spesso a teatro, magari la prossima volta mentre sarai seduta pronta per l'apertura del sipario, ti arriverà una luce per riempire il vuoto che hai dentro e permetterti di vedere cosa dal palcoscenico stava arrivando dentro di te...tanti auguri

ps. il fatto di non firmarsi con un nome e cognome dopo aver offeso in lungo ed in largo centinaia di persone (senza contare gli artisti) ti esclude automaticamente dalla categoria sopra virgolettata ovviamente...

Anonimo ha detto...

lol sono qui completamente per caso, pero' apprezzo la supponenza e il sentirsi superiori agli altri. sul serio non sono ironico. non sono ironico lo giuro. e' un bell'articolo. giuro. devi soffrire molto per scrivere cosi'. ma io ti voglio bene. quando va male sappi che c'e' almeno uno da qualche parte che ti vuole bene.
un abbraccio
anon